Paolo Guzzanti, il Giornale 4/6/2014, 4 giugno 2014
LA STANZA DEI BOTTONI SIMBOLO DEL POTERE
È mezzo secolo che faccio il giornalista e mezzo secolo che mi tocca scrivere almeno una volta all’anno della Rai perché la Rai è il sancta sanctorum dell’Italia, il suo tesoro nascosto, la stanza dei bottoni, la camera oscura delle oscure compensazioni. Una volta si andava a viale Mazzini e si passeggiava lungo i corridoi del settimo piano, il piano nobile degli intrighi più alti. Anche intrighi nobili, volendo. Ma sempre intrighi. Funzionari e programmisti, ma anche attori e registi, scherzavano amaramente sulla loro appartenenza a questa o quella cricca, cordata, corrente. Tutti - o quasi – pronti a cambiare «linea politica » se fosse cambiato il clima politico. Una capacità di adattamento da far impallidire, per così dire, il camaleonte.
Ci sono sempre stati, in Rai, dei «referenti»(ricordate questo termine). I referenti vanno considerati «in quota»(memorizzate anche questa di parola). Il «referente in quota » è il tizio, o la tizia, che rappresenta un partito, una corrente, un esponente, all’interno dell’intera azienda, di una rete, di una struttura, di una trasmissione, di un tg. Una volta era facile: era tutto democristiano. Il vecchio Bubbico (curatore storico della Dc ai tempi di Moro, Fanfani e Andreotti) diceva ridendo in modo sinistro: «Noi alla Rai non facciamo la lottizzazione. Noi pratichiamo il latifondo».La«lottizzazione » è una parola inventata su misura per la Rai, intesa come landa icui lotti vengono distribuiti in gestione ai vassalli e ai valvassori. «In che quota sei?» equivale a «Chi è il tuo referente?». Ogni lotto lottizzato produce la sua«linea politica».La Rai è infatti una trama di «linee editoriali».
Che cosa sono? Sono il nome aulico delle bugie. Un tempo esistevano soltanto le bugie democristiane, poi vennero quelle socialiste, quelle comuniste e di tutti gli altri partiti, somministrate attraverso i tg in appalto ai partiti. Poiché i tg affidati (anzi occupati dai) partiti devono tirare la coperta dalla parte politica di cui sono espressione, anche le notizie, gli approfondimenti, persino il tono di voce e lo sguardo dei giornalisti, fanno parte di una impalcatura teatrale, la «linea politica », che è un castello di menzogne, manipolazioni, omissioni e gonfiature, pietosamente definito «linea editoriale». La «linea editoriale» è un residuato bellico della Guerra fredda. Durante la Guerra fredda –tuttora attiva sotto forma di guerra civile a bassa intensità –i grandi partiti,specialmente Dc e Pci, decisero che la verità fosse un optional. Ognuno ha la sua e non stiamo a sottilizzare. Mentre i giornalisti di tutto il mondo civile erano assunti o licenziati secondo la loro bravura, quelli italiani venivano assunti e (mai)licenziati secondo«appartenenza ». L’appartenenza è un derivato del referente (vedi sopra). Gli «appartenenti», per tradizione cavalleresca, non si licenziano, ma si accumulano negli stipendi inutili e nelle carriere frizzate. Un tempo alla Rai facevano carriera anche giornalisti, intellettuali, tecnici, sceneggiatori o programmisti che erano semplicemente bravi. Carlo Emilio Gadda per fare un nome. Ci fu un tempo in cui la Rai era anche una scuola di vita e di produzione culturale non conformista. Oggi il conformismo avvelena tutti i pozzi. Prima della lottizzazione integrale sopravviveva una sorta di fair play . Poi vennero i socialisti entrati da poco nella «stanza dei bottoni» (così il loro leader Pietro Nenni chiamava l’immaginario luogo delle grandi decisioni) e con loro entrarono non soltanto intellettuali e giornalisti, ma anche una feccia di portaborse e arrampicatori. L’ingresso progressivo dei partiti – il Pci ottenne un’intera rete e un telegiornale tutto suo- fece a pezzi la parte più sana dell’azienda.
Tuttavia, la Rai ancora amministra il potere, che ha bisogno di lei. Oggi si parla tanto del Web come se avesse sostituito la televisione, ma si tratta di una forzatura. I talk show hanno il loro peso ( decrescente) e i telegiornali anche. È vero che si sono aggiunte le altre reti, La7 in particolare, con un potente apparato politico. Ma la Rai – che «non è la Bbc» come ironizzava Renzo Arbore – ha mantenuto e mantiene il suo primato. Qualcuno starà già scalpitando: ma non dici niente di Mediaset? Dico questo. Parecchi anni fa chiesi a Berlusconi: lei ha ben tre reti televisive, il primo settimanale italiano e un quotidiano di alto prestigio. Come mai non ha varato una politica editoriale capace di contrastare sul piano culturale e politico le forze congiunte di RaiTre, la Repubblica e l’Espresso ? Berlusconi mi rispose che le sue reti sono commerciali, devono servire un pubblico generalista per vendere pubblicità. Ed è così: malgrado lo sfegatato berlusconismo di alcuni personaggi, le reti Mediaset non sono mai state né intendono diventare antagoniste culturali della Rai. Dunque la Rai resta con tutti i suoi pregi e vizi genetici. Piena di ottimi lavoratori, spesso capace di (costosissime) eccellenze, ma prima di tutto uno strumento con cui (illudersi di) esercitare il potere. Tutti i giornalisti Rai che ho conosciuto in tanti anni, senza eccezione di età, genere e partito, si sono tutti dichiarati infelici, imbavagliati, sottoposti a un controllo e a una logicaagli antipodi dell’idea di un servizio pubblico.