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 2014  giugno 04 Mercoledì calendario

LA STANZA DEI BOTTONI SIMBOLO DEL POTERE

È mezzo secolo che faccio il giornalista e mezzo seco­lo c­he mi tocca scrivere al­meno una volta all’anno della Rai perché la Rai è il sancta san­ctorum dell’Italia, il suo tesoro nascosto, la stanza dei bottoni, la camera oscura delle oscure com­pensazioni. Una volta si andava a viale Mazzini e si passeggiava lungo i corridoi del settimo pia­no, il piano nobile degli intrighi più alti. Anche intrighi nobili, vo­lendo. Ma sempre intrighi. Fun­zionari e programmisti, ma an­che attori e registi, scherzavano amaramente sulla loro apparte­nenza a questa o quella cricca, cordata, corrente. Tutti - o quasi – pronti a cambiare «linea politi­ca » se fosse cambiato il clima po­litico. Una capacità di adatta­mento da far impallidire, per co­sì dire, il camaleonte.
Ci sono sempre stati, in Rai, dei «referenti»(ricordate questo ter­mine). I referenti vanno conside­rati «in quota»(memorizzate an­che questa di parola). Il «referen­te in quota » è il tizio, o la tizia, che rappresenta un partito, una cor­rente, un esponente, all’interno dell’intera azienda, di una rete, di una struttura, di una trasmis­sione, di un tg. Una volta era faci­le: era tutto democristiano. Il vec­chio Bubbico (curatore storico della Dc ai tempi di Moro, Fanfa­ni e Andreotti) diceva ridendo in modo sinistro: «Noi alla Rai non facciamo la lottizzazione. Noi pratichiamo il latifondo».La«lot­tizzazione » è una parola inventa­ta su misura per la Rai, intesa co­me landa i­cui lotti vengono distri­buiti in gestione ai vassalli e ai val­vassori. «In che quota sei?» equi­vale a «Chi è il tuo referente?». Ogni lotto lottizzato produce la sua«linea politica».La Rai è infat­ti una trama di «linee editoriali».
Che cosa sono? Sono il nome aulico delle bugie. Un tempo esi­stevano soltanto le bugie demo­cristiane, poi vennero quelle so­cialiste, quelle comuniste e di tut­ti gli altri partiti, somministrate attraverso i tg in appalto ai parti­ti. Poiché i tg affidati (anzi occu­pati dai) partiti devono tirare la coperta dalla parte politica di cui sono espressione, anche le noti­zie, gli approfondimenti, persi­no il tono di voce e lo sguardo dei giornalisti, fanno parte di una im­palcatura teatrale, la «linea politi­ca », che è un castello di menzo­gne, manipolazioni, omissioni e gonfiature, pietosamente defini­to «linea editoriale». La «linea editoriale» è un residuato bellico della Guerra fredda. Durante la Guerra fredda –tuttora attiva sot­to forma di guerra civile a bassa intensità –i grandi partiti,special­mente Dc e Pci, decisero che la ve­rità fosse un optional. Ognuno ha la sua e non stiamo a sottilizza­re. Mentre i giornalisti di tutto il mondo civile erano assunti o li­cenziati secondo la loro bravura, quelli italiani venivano assunti e (mai)licenziati secondo«appar­tenenza ». L’appartenenza è un derivato del referente (vedi sopra). Gli «appartenenti», per tradizione cavalleresca, non si licenziano, ma si accumulano negli stipendi inutili e nelle carriere frizzate. Un tempo alla Rai facevano car­riera anche giornalisti, intellet­tuali, tecnici, sceneggiatori o pro­grammisti che erano semplice­mente bravi. Carlo Emilio Gad­da per fare un nome. Ci fu un tem­po in cui la Rai era anche una scuola di vita e di produzione cul­turale non conformista. Oggi il conformismo avvelena tutti i pozzi. Prima della lottizzazione integrale sopravviveva una sorta di fair play . Poi vennero i sociali­sti entrati da poco nella «stanza dei bottoni» (così il loro leader Pietro Nenni chiamava l’imma­ginario luogo delle grandi deci­sioni) e con loro entrarono non soltanto intellettuali e giornali­sti, ma anche una feccia di porta­borse e arrampicatori. L’ingres­so progressivo dei partiti – il Pci ottenne un’intera rete e un tele­giornale tutto suo- fece a pezzi la parte più sana dell’azienda.
Tuttavia, la Rai ancora ammi­nistra il potere, che ha bisogno di lei. Oggi si parla tanto del Web co­me se avesse sostituito la televi­sione, ma si tratta di una forzatu­ra. I talk show han­no il loro peso ( de­crescente) e i tele­giornali anche. È vero che si sono aggiunte le altre reti, La7 in partico­lare, con un po­tente apparato po­litico. Ma la Rai – che «non è la Bbc» come ironiz­zava Renzo Arbo­re – ha mantenu­to e mantiene il suo primato. Qualcuno starà già scalpitando: ma non dici nien­te di Mediaset? Di­co questo. Parec­chi anni fa chiesi a Berlusconi: lei ha ben tre reti televisive, il primo settimanale italiano e un quoti­diano di alto prestigio. Come mai non ha varato una politica editoriale capace di contrastare sul piano culturale e politico le forze congiunte di RaiTre, la Re­pubblica e l’Espresso ? Berlusco­ni mi rispose che le sue reti sono commerciali, devono servire un pubblico generalista per vende­re pubblicità. Ed è così: malgra­do lo sfegatato berlusconismo di alcuni personaggi, le reti Media­set non sono mai state né inten­dono diventare antagoniste cul­turali della Rai. Dunque la Rai resta con tutti i suoi pregi e vizi genetici. Piena di ottimi lavoratori, spesso capace di (costosissime) eccellenze, ma prima di tutto uno strumento con cui (illudersi di) esercitare il potere. Tutti i giornalisti Rai che ho conosciuto in tanti anni, sen­za eccezione di età, genere e par­tito, si sono tutti dichiarati infeli­ci, imbavagliati, sottoposti a un controllo e a una logicaagli anti­podi dell’idea di un servizio pub­blico.