Piero Bianucci, La Stampa 2/6/2014, 2 giugno 2014
COSÌ HO INFRANTO IL MONOPOLIO DI DIO
Qualche settimana fa, mentre eravamo distratti dalle grida di Grillo e dai servizi sociali di Berlusconi, Nature annunciava che l’uomo è riuscito ad aggiungere 2 «lettere» alle 4 che da miliardi di anni il Dna usa nel suo alfabeto della vita. Un microbo, l’Escherichia coli, comunissimo anche nel nostro intestino, vive con il Dna a 6 lettere inventato da Floyd Romesberg - Scripps Institute, California. È come se finora la Natura avesse scritto i progetti di tutte le specie in una sola lingua e ora potesse incominciare a scriverli in una nuova lingua inventata dall’uomo. Ma il vecchio alfabeto permette 64 combinazioni, quello nuovo 216.
È l’ultimo rivoluzionario capitolo nel romanzo della vita sintetica. Quattro anni fa, un altro biologo d’assalto, John Craig Venter, costruì il primo organismo vivente artificiale. Battezzato Mycoplasma mycoides JCVI-syn1.0, è anche il primo microbo griffato: nel suo genoma sintetizzato al computer, orgogliosamente Craig scrisse il proprio nome. Fatto ancora più curioso, la prima forma di vita sintetica nasconde una antologia letteraria: nel milione di istruzioni genetiche del mycoides, Venter infilò tre citazioni: «Vivere, sbagliare, cadere, trionfare, ricreare la vita dalla vita» (James Joyce, Ritratto dell’artista da giovane), «Vedere le cose non come sono ma come potrebbero essere» (Robert Oppenheimer, capo dell’équipe che realizzò la bomba atomica), «Quello che non posso creare, non lo comprendo» (Richard Feynman, premio Nobel per la fisica). Parole gravide di messaggi esistenziali ed epistemologici che dicono quanto sia ingombrante ma anche geniale e interdisciplinare l’ego di Craig Venter.
Science annunciò la vita artificiale il 20 maggio 2010 nella sua edizione online e il 2 luglio nell’edizione a stampa. Il titolo nell’insieme sembra prudente: «Creazione di una cellula batterica regolata da un genoma di sintesi». Ma la prima parola – creazione – in una rivista scientifica suona provocatoria. Venter e gli altri 23 autori avrebbero potuto scegliere la forma neutra «ottenuta una cellula». Invece, correndo il rischio di scatenare una bufera religiosa e filosofica, hanno voluto appropriarsi di ciò che fino al giorno prima per i laici era monopolio della Natura, per i religiosi di Dio.
A raccontarci queste cose è Craig Venter in persona nel libro Il disegno della vita (Rizzoli, pp. 280, € 18). Nato a Salt Lake City 67 anni fa, infermiere dei marines nella guerra del Vietnam, laurea in biochimica all’Università della California, Venter lavora per parecchi anni ai National Institutes of Health, l’equivalente del nostro Istituto superiore di Sanità. Nella struttura statale si impadronisce di una tecnica per leggere rapidamente i messaggi genetici nelle cellule. Poi lascia la struttura pubblica, fonda un centro di ricerca privato ed entra nel business della genomica accumulando brevetti per la lettura veloce del Dna (il famoso «sequenziamento a mitraglia») e cercando di brevettare i geni degli organismi che andava sequenziando, cosa che gli procura parecchi nemici. Entrato tardi in concorrenza con il consorzio pubblico che stava mappando per la prima volta il genoma umano, lo raggiunge sul traguardo: con il capo del consorzio Francis Collins, c’era anche lui accanto a Clinton e Blair il 26 giugno del 2000 alla conferenza stampa che annunciò la conclusione di quel progetto da 3 miliardi di dollari. Ma mentre il consorzio pubblico aveva mappato un genoma fatto di tanti frammenti di persone diverse (simbolicamente dell’umanità), Venter aveva lavorato sul genoma di 5 persone soltanto, e una di queste era lui.
Di lì Venter parte verso l’obiettivo più ambizioso: creare un organismo artificiale. Per comprendere meglio la vita, ma anche per progettare (e vendere) batteri capaci di produrre energia, sintetizzare farmaci, ripulire mari inquinati. L’idea è individuare il più semplice organismo in grado di vivere, con il corredo di geni minimo per nutrirsi e riprodursi. Lo trova nel Mycoplasma genitalium, che ha solo 482 geni. Tutti necessari? No, Venter prova a sfoltirli uno dopo l’altro fino a identificare i 381 davvero indispensabili alla vita. Chiama Synhia il genoma minimo e lo brevetta con il numero 20070122826. Tra successi e fallimenti, passa a un altro batterio, il Mycoplasma mycoides, ne spezzetta il patrimonio genetico in 1078 mattoncini ognuno contenente 1080 informazioni genetiche, lo sintetizza al computer e lo introduce in un batterio simile, il Mycoplasma capricolum, dopo aver eliminato il suo genoma. Era un venerdì sera. Fiato sospeso fino alle 4 del lunedì mattina. Poi il trionfo: la creatura artificiale si nutre e si riproduce. Vive! Un’antica concezione filosofica, il vitalismo, si dissolve: non c’è uno «spirito» che anima la materia, c’è solo un programma genetico, a sua volta scritto nella materia.
Eppure quella di Venter non era ancora autentica vita artificiale. Era un genoma di sintesi inserito in un microbo preesistente. Il prossimo passo sarà costruire l’intero nuovo organismo, hardware e software. Ha già il nome, Mycoplasma laboratorium. Intanto Venter sogna il design della vita: progettare una cellula vivente universale, ricavarne nuove creature, trasmettere nello spazio istruzioni genetiche per teletrasportare la vita su altri pianeti. Forse però il progetto più importante è quello di mappare microrganismi eccezionali per individuare i geni che li rendono tali. L’ha fatto con il Deinococcus radiodurans, che sopporta radiazioni in quantità 6000 volte maggiori della dose mortale per l’uomo, l’Archaeoglobus, che prospera nei giacimenti di petrolio, il Methanococcus, che genera la propria energia cellulare trasformando l’anidride carbonica in metano, stupenda soluzione contro l’effetto serra. La vita artificiale, quando arriverà, avrà prestazioni da Superman. Ma forse porterà la firma di Floyd Romesberg.
Piero Bianucci, La Stampa 2/6/2014