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 2014  giugno 02 Lunedì calendario

I “LUPI SOLITARI” DELLA JIHAD CON IL PASSAPORTO EUROPEO


Il rischio è che sia solo l’inizio. L’attentato di Bruxelles, commesso da un «lupo solitario» di ritorno dalla guerra in Siria, è la materializzazione di un incubo di cui l’intelligence europea e Usa parlavano da tempo: i jihadisti radicalizzati e addestrati nella lotta contro Assad, che rientrano a casa grazie ai loro passaporti occidentali e mettono le tecniche apprese durante il conflitto al servizio del terrorismo.
Il fatto che Mehdi Nemmouche abbia agito da solo, e in maniera piuttosto approssimativa, non è un elemento di conforto, ma semmai di ulteriore allarme. Così, infatti, è riuscito comunque ad ammazzare 4 persone nel cuore della capitale dell’Unione europea: pensate cosa avrebbe potuto fare, se fosse stato più scaltro e inquadrato in un gruppo più organizzato, come saranno molti degli altri reduci in arrivo da Damasco. Nemmouche era cresciuto a Roubaix, nel nord della Francia. Dopo un passaggio in prigione per rapina, il 31 dicembre del 2012 era andato in Siria e si era unito ai combattenti islamici in lotta contro Assad. Tornato indietro, ha imbracciato il fucile per sparare contro i visitatori del Museo ebraico di Bruxelles.
È un percorso noto all’intelligence europea, secondo le cui stime sono almeno 2.400 i cittadini del continente che lo hanno seguito. Un esercito addestrato, radicalizzato e deluso dall’andamento della guerra, con passaporti che consentono ai suoi soldati di entrare e circolare liberamente nell’area di Schengen. In genere vengono reclutati direttamente in Europa, attraverso Internet o tramite gruppi come Hizb al Tahrir. Poi passano nelle basi della Turchia sud orientale, lì consegnano i loro documenti europei e ricevono identificativi siriani. Dopo l’addestramento, che include tecniche di combattimento, costruzione di autobombe e preparazione dei giubbotti da kamikaze, superano il confine e vanno in guerra. Secondo gli 007 provengono soprattutto da Francia, Germania, Gran Bretagna, ma anche da Italia, Danimarca, Olanda, Norvegia, Belgio, Austria. Di solito sono arruolati nei gruppi più estremisti, come Jabhat al Nusra e Islamic State of Iraq (Isis). I loro passaporti intanto vengono consegnati ad altri jihadisti che gli somigliano, per farli entrare liberamente in Europa e costruire cellule. Se sopravivono e vogliono tornare indietro, invece, riprendono i vecchi documenti e rientrano nei paesi d’origine, come bombe ad orologeria pronte ad esplodere a comando, o di iniziativa personale.
Anche gli Stati Uniti hanno un problema simile, ma fino a poco tempo fa pensavano che fosse ridotto ad una cinquantina di persone. La settimana scorsa, però, Washington ha confermato la morte del primo kamikaze americano in Siria. Si chiamava Moner Mohammad Abu-Salha, 22 anni: si è fatto esplodere col suo camion per colpire il ristorante al-Fanar di Idlib, dove in genere si ritrovano le truppe di Assad.
Il nome non deve ingannare: basta guardare la foto di Moner, per capire che senza barba sembrerebbe un ragazzo americano qualunque. Abitava a Fort Pierce, 130 miglia a nord di Miami, e quando frequentava l’high school era un ottimo giocatore di basket con gli Indian River Warriors di Vero Beach. I genitori sono proprietari di una catena di negozi alimentari, ma invece di starsene sulla spiaggia a prendere il sole, Moner è finito a combattere con al Nusra. Lui è morto in Siria, ma dopo che Assad avrà vinto le elezioni di martedì, e i ribelli resteranno senza prospettive, quanti jihadisti occidentali decideranno invece di seguire il percorso di Mehdi Nemmouche? Un motivo in più, forse, per non accettare che il conflitto finisca così e si trasferisca nelle nostre città.

Paolo Mastrolilli, La Stampa 2/6/2014