Luigi Ferrarella, Corriere della Sera 4/6/2014, 4 giugno 2014
L’ESIGENZA DI CHIARIRE IL RAPPORTO TRA CAPI E PM
Magari lo scontro in Procura a Milano si nutrisse solo di personalismi tra magistrati-star, rivalità tra correnti sotto elezioni del Csm, veleni tra toghe rosse e d’altre asserite tinte. E magari fosse solo un problema di obbligatorietà dell’azione penale: a risolverlo, nei singoli casi che oppongono l’aggiunto Robledo al procuratore Bruti Liberati, basterebbero allora le norme costituzionali, la procedura penale e la giurisprudenza di Cassazione, granitiche nell’imporre l’avvio dell’azione penale appena vi siano gli estremi di una notizia di reato, perché da lì scaturiscono fondamentali garanzie di sostanza e di tempistica per l’indagato.
Alla radice dello scontro è invece una pressione atmosferica che sempre più non solo chiede ai pm, come giusto, di usare maggiori professionalità e buon senso per minimizzare le inevitabili ricadute delle iniziative giudiziarie imposte dalla legge, ma ormai quasi domanda anche di subordinarle a «compatibilità» con equilibri di volta in volta politici-sociali-economici. Il corto circuito nasce cioè dalla richiesta sociale che i magistrati assumano come parametro la «sostenibilità» dei propri atti, adottabili solo nella misura in cui appaiano socialmente accettabili, «digeribili» dalle esigenze delle imprese, o dal momento politico, o dalle emozioni dei cittadini. Una domanda di «compatibilità» riecheggiata nell’invito del capo dello Stato ai giovani magistrati in tirocinio a «prospettarsi le conseguenze dei propri provvedimenti» in un «contesto lacerato da difficoltà economiche e sociali»; e nella raccomandazione del vicepresidente del Csm a «farsi carico dell’impatto sistemico e dell’accoglibilità sociale» dei provvedimenti.
Traduzione: quando un ospedale finisce in bancarotta tra ruberie e tangenti, l’indagine deve autolimitare il proprio ritmo per lasciare qualche margine di tempo alle cordate che potrebbero evitare fallimento e licenziamenti? Se pm di un’altra città trasmettono intercettazioni che fanno dubitare della regolarità dell’imminente asta di una municipalizzata, dal cui incasso dipende il bilancio del Comune, bisogna (oltre a non scordarsi in cassaforte il fascicolo) porsi il problema che già solo avviare accertamenti possa far saltare l’asta e così determinare il default di quel Comune? Se un teste accusa un politico e si avvicinano le elezioni, occorre interrogarsi sull’effetto sulle dinamiche interne a quel partito?
La soluzione a questi dilemmi non è più scontata da quando l’ovvia risposta della legge, che ai magistrati impone di non operare valutazioni di opportunità, dal 2006 sta però ricevendo la meno ovvia e meno nota controspinta di un particolare sottosistema di regole, quelle sull’ordinamento giudiziario: regole che hanno consegnato ampi poteri ai capi delle Procure (e, su delega, ai vicecapi), gerarchizzandole fortemente a differenza dei Tribunali, dove non a caso ciascun giudice resta invece tabellarmente impermeabile a qualunque ipotetica pressione interna una volta che automatismi gli abbiano assegnato un processo.
È indubbio che quelle regole furono volute da un contesto politico che così sperava, non potendo controllare il «potere diffuso» di migliaia di pm, di almeno controllare un pugno di loro capi. Ma è vero anche che quelle regole hanno risposto all’esigenza, avvertita dai cittadini e riconosciuta dalla parte più consapevole della magistratura, di frapporre un argine di ragionevolezza (sperabilmente in capo almeno al vertice della Procura) alle iniziative più balzane di pm avventuristi o impreparati. Ora però è evidente come le due contrastanti spinte stiano creando un corto circuito permanente: anche e forse soprattutto nelle città dove cova sotto la cenere, invece di manifestarsi alla luce del sole (eccessi litigiosi compresi) proprio nella Procura che, se si guarda ai risultati di Milano, ha negli anni espresso le maggiori efficienza e indipendenza.
Per questo al Csm ora non può più bastare fare la conta dei singoli torti e ragioni: deve invece esprimere una chiara opzione di modello di capo ufficio, e per il futuro una nitida indicazione dei rapporti tra capi e pm. Altrimenti, potrà anche mandare via Bruti o rimuovere Robledo, cacciare entrambi o archiviare tutti e due, ma 1-10-100 casi Bruti/Robledo rispunteranno presto altrove.