Francesca Basso, Corriere della Sera 4/6/2014, 4 giugno 2014
LA LUNGA STORIA DEI TAGLI DELLA EX COMPAGNIA DI BANDIERA
La storia dei tentativi di salvataggio di Alitalia degli ultimi dieci anni ha sempre avuto il capitolo esuberi. Partendo dalla fine, quelli stimati per la fusione con Etihad sono «tra i 2.400 e i 2.500, almeno dalle risultanze pubbliche», ha detto ieri il ministro del Lavoro Giuliano Poletti. Però già nel piano industriale presentato a dicembre 2013 dall’amministratore delegato Gabriele Del Torchio si parlava di 1.900 esuberi, che si sarebbero andati ad aggiungere ai mille dipendenti già in cassa integrazione, e si annunciavano risparmi complessivi per 295 milioni, di cui 128 con tagli al costo del lavoro. La soluzione trovata è stata nessun taglio di posti ma cassa integrazione a rotazione spalmata su 9 mila dipendenti. Inoltre il ministro dei Trasporti, Maurizio Lupi, ha confermato per il 2014 e il 2015 il prelievo di due euro a biglietto a carico dei viaggiatori per continuare a finanziare il Fondo volo che garantisce l’integrazione degli ammortizzatori sociali di piloti e assistenti di volo.
Adesso a pochi mesi di distanza la questione si ripropone, ma stavolta in ballo ci sono 2.500 dipendenti. Sgombriamo il campo da un equivoco. Non è solo un problema di costo del lavoro. Infatti spiega Oliviero Baccelli, direttore del master in Economia dei Trasporti alla Bocconi, «nel corso degli ultimi anni Alitalia è stata razionalizzata e ora il costo dei dipendenti, che si calcola come costo medio per biglietto venduto per chilometro, è tra i più bassi tra quelli delle grandi compagnie d’Europa». Comunque «non è solo Alitalia ad aver creato problemi di gestione del personale. Meridiana ha dipendenti in cassa integrazione e Blu Panorama è in concordato preventivo».
A voler ripercorrere la storia, si comincia nel 2004 quando l’allora amministratore delegato della compagnia di bandiera, Giancarlo Cimoli, presentò un piano industriale che prevedeva oltre 5 mila esuberi, circa tremila impegnati nei settori di terra, 450 piloti, 1.050 assistenti di volo e circa 1.400 del settore manutenzione. Nel 2008, quando si mette a punto la privatizzazione di Alitalia e l’ingresso di Air France-Klm, gli esuberi annunciati sono 7 mila. In questo caso scende in campo l’allora governo Berlusconi, che con un decreto modifica la legge Marzano sulla gestione delle aziende in crisi, fornendo gli strumenti per il commissariamento di Alitalia. Viene nominato commissario l’ex ministro Augusto Fantozzi, si dà l’avvio alla privatizzazione. Il decreto del governo prevede anche ammortizzatori sociali per la durata di ben sette anni (4 di cassa integrazione e 3 di mobilità), «un trattamento che rappresenta un unicum — spiega Baccelli —, un pacchetto particolarmente generoso», che non è stato più replicato in nessun caso di crisi aziendale.
Tutto risolto? Per niente. Nel piano industriale del 2012 Alitalia torna a parlare di esuberi — stavolta 690 — motivati con un risparmio pari a circa 30 milioni. Poi ci sono i già citati 1.900 del 2013 e i 2.500 del 2014. «I grandi esuberi del 2008 — spiega Baccelli — sono legati alla fusione tra Alitalia e Airone, era una necessità di razionalizzazione per eliminare le duplicazioni funzionali e fare fronte alle riduzioni della capacità. Fu un pacchetto di trasformazione totale. Ora si tratta di capire le eventuali sinergie con la sede di Etihad e la chiusura di alcune rotte».
Francesca Basso