Marcello De Cecco, Affari&Finanza – la Repubblica 2/6/2014, 2 giugno 2014
EURO E BANCHE, I DILEMMI DELLA BCE
Dal 7 maggio l’euro è sceso da 1,39 a 1,36 dollari. Questo è il primo dato da considerare, se si vuol cercare di invertire la tendenza al ribasso dei prezzi e di rilanciare la domanda in Europa. Dato il contesto teorico-istituzionale entro cui i ragionamenti di quanti plasmano la politica economica dei paesi dell’Ume si muovono, la possibilità di rilanciare l’economia dipende dalla loro capacità di guadagnarsi un surplus di conto corrente sui mercati mondiali. Più alto è tale surplus, meno pesante può essere la deflazione da imporre a economie in disequilibrio come quelle europee. Come regola generale, è contraddittoria perché non può essere seguita da tutti i Paesi allo stesso tempo, ma evidentemente Draghi preferisce occuparsi del breve periodo e non considerare la quadratura mondiale dei conti esteri. Che poi è da sempre la filosofia del suo più importante azionista, la Germania. Il tasso di cambio dell’euro dipende specialmente dalla politica monetaria Usa. Se la Fed insiste, preoccupata dall’andamento di Wall Street a qualche mese dalle elezioni di metà mandato, ad assicurare che il dollaro resti debole, ed esprime una politica dei tassi e misure non convenzionali adeguate a tale obiettivo, la Bce deve inseguirla sullo stesso terreno e prendere decisioni su tassi e misure straordinarie che cerchino di far scendere il corso dell’euro. Dopo il mezzo disastro che le elezioni europee hanno determinato in buona parte dei Paesi (esclusa l’Italia), l’affermazione del populismo specialmente in Francia dovrebbe far perdere vigore alle istanze di austerità avanzate dalla Germania e dai suoi satelliti. La signora Merkel ha dichiarato che ora è tempo che l’Europa torni a crescere. Ma con quali misure pensa di fomentare la crescita? Includono esse una continuazione delle politiche monetarie permissive, e il via libera all’adozione di ulteriori misure non conformiste di politica monetaria, che contengano persino qualche forma di repressione finanziaria? Tutti si aspettano, ormai, che Draghi annunci una diminuzione dei tassi portando forse addirittura in area negativa la remunerazione dei depositi delle banche da parte della Bce. Ma la manovra dei tassi ha già mostrato di essere un’arma abbastanza spuntata. Per questo, molti credono che la Bce annuncerà di voler in qualche modo costringere le banche a usare il denaro che hanno ricevuto e ricevono dalla Bce per fare prestiti all’economia. Insieme al cambio dell’euro, è il punto dolente della storia monetaria recente. Ma è anche quello sul quale da parte degli esperti delle banche centrali dei paesi più forti dell’Ume e dei populisti degli stessi Paesi, partono frequenti critiche, perché si dice che la scarsità di prestiti all’economia affligge solo un terzo dei paesi dell’Unione mentre le misure monetarie non convenzionali interesserebbero tutta l’Unione. Questa considerazione è pertinente, se si ritiene che la banca sia una impresa come le altre e che suo compito debba essere di ricercare il massimo profitto con decisioni proprie, senza subire le direttive delle autorità monetarie. Quelli che auspicano comportamenti simili affermano che, se si danno alle banche direttive precise relative a come gestire i propri attivi, poi non ci si può meravigliare se i banchieri le seguono indebolendo gli stessi attivi mediante prestiti troppo rischiosi. Questa può essere una critica diretta agli esperimenti di funding for lending che la Bce sta conducendo con la Banca d’Inghilterra e medita di estendere al sistema bancario europeo. Le banche europee, in particolare le grandi, come quelle americane, hanno profondamente modificato i propri attivi negli anni precedenti la crisi, accumulando prodotti derivati spesso ad alto rischio, perché da essi ottenevano, o speravano di ottenere, alti guadagni. Non sembra che la struttura dei bilanci bancari sia molto cambiata dopo la crisi. Questo, insieme ad una diminuzione dei prestiti ai clienti più problematici - quella che ha condotto a prestiti totali inferiori ai livelli pre-crisi - permette di generare utili finché le cose vanno bene, tali da permettere almeno in parte una ricapitalizzazione sufficiente ad adeguarsi alle richieste delle autorità di vigilanza. Da questa situazione la Bce comprende di non poter uscire con le sue sole forze. Draghi ha ripetuto che una soluzione strutturale e duratura richiede l’attivazione dell’Unione Bancaria, approvata, promulgata ma poi messa in frigorifero per la contrarietà tedesca a permettere che le autorità europee si immischino negli affari del proprio sistema bancario, i cui bilanci non sono stati affatto risanati e una parte del quale è profondamente legato ai maggiori partiti politici tedeschi. Sarà interessante leggere cosa Draghi dirà il 5 giugno. La Bce è cosciente della necessità di intervenire con le misure straordinarie previste dall’Unione bancaria ma sa che senza l’appoggio della Germania nessun progresso è possibile in tale direzione. Ci aspettiamo che Draghi annunci qualche provvedimento che costringa le banche a prestare di più all’economia: è una strada rischiosa, ma i populisti che hanno fatto sentire la loro voce minacciosa, inducono Angela Merkel a chiedere di stimolare la crescita ma anche a prendere tempo sull’attivazione della Ube, perché l’apertura dei libri delle banche tedesche a personale non tedesco condurrebbe a un lavacro di panni sporchi in pubblico che farebbe il gioco dei populisti tedeschi. Un bel dilemma: ma Draghi ha capacità diplomatiche e intelligenza istituzionale di prima qualità. Speriamo che bastino.
Marcello De Cecco, Affari&Finanza – la Repubblica 2/6/2014