Massimo Giannini, Affari&Finanza – la Repubblica 2/6/2014, 2 giugno 2014
LE BANCHE DI VISCO, LA VERSIONE DI SUTTON
Willie Sutton diceva che «trovarsi soli, di notte, in una banca, è un’esperienza piuttosto gradevole». Ma il protagonista dell’ultimo romanzo di J.R Moheringer, a cavallo della Grande Crisi del ’29, è stato il più grande rapinatore di banche della storia americana. Per i clienti normali (e onesti) trovarsi in una banca, di giorno, può essere un’esperienza molto meno gradevole. Nel 2013 i prestiti erogati sono diminuiti del 3,7%. Ad essere più colpite sono state le imprese, con un calo dei finanziamenti del 5%, mentre le famiglie hanno risentito della stretta per un più modesto 0,9%. Secondo la Relazione annuale della Banca d’Italia, sintetizzata da Visco nelle sue Considerazioni finali, «la contrazione dei prestiti in Italia rifletterebbe non solo la debolezza della domanda, ma anche le politiche di offerta». Le aziende chiedono fidi, ma ne rimborsano sempre meno. Così le banche prestano meno, e le imprese falliscono. È il credit crunch, bellezza. Nonostante i 1.420 miliardi di prestiti totali versati al sistema economico nel 2013 (il 90% del Pil). In tutto questo cosa c’è di poco «gradevole», per riprendere la versione di Sutton? C’è il fatto che alla fine, dati alla mano, la clientela nel suo insieme rischia di pagare due volte i costi della stretta creditizia di questi anni. Nel 2013 (apprendiamo sempre dalla Relazione annuale di Via Nazionale) le banche hanno dovuto rettificare crediti e svalutare avviamenti, facendo emergere perdite complessive per 20,6 miliardi. Nel frattempo, il margine di interesse si è contratto dell’8,9% (effetto ovvio del calo dei volumi intermediati). Ma allo stesso tempo, i ricavi da commissione e da negoziazione sono cresciuti del 7,3% (compensando così, lo scrive la stessa Banca d’Italia, «la riduzione dei ricavi da interesse»). Che significa tutto questo? Le banche guadagnano molto meno perché prestano meno soldi. Ma si rifanno dei mancati introiti aumentando i costi delle operazioni effettuate dalla clientela. Un vizio antico, ma che diventa insopportabile in tempi di carestia come questi. Tanto più che, sempre secondo i dati della Relazione, questa dinamica riguarda quasi esclusivamente le banche italiane. Da un raffronto tra un campione costituito dai 15 maggiori gruppi bancari europei vengono fuori due cose. Primo: «la redditività delle due principali banche italiane» (Unicredit e Intesa) «è stata inferiore a quella delle altre 13 banche del campione». Secondo: «il margine di interesse si è ridotto in misura analoga per tutti gli intermediari» (visto che il credit crunch ha colpito ovunque), ma «per i due gruppi italiani la crescita degli altri ricavi» (a partire appunto da quelli sulle commissioni) «è stato superiore rispetto alle altre banche europee (18,9% a fronte del 5,2%)». Che direbbe Willie Sutton, di fronte a questi numeri?
m.giannini@repubblica.it
Massimo Giannini, Affari&Finanza – la Repubblica 2/6/2014