Filippo Ceccarelli, la Repubblica 2/6/2014, 2 giugno 2014
IL CASO MORO È DIVENTATO UN ROMANZO ESOTERICO
Ancora lampi, ancora fantasmi, ancora fuochi di cimitero e di farsa. La ritardata rivelazione dell’artificiere giunto in anticipo a via Caetani. L’ex brigadiere e il suo inesistente pseudonimo che blocca la liberazione a via Montalcini. Lo spione motociclista e pistolero a via Fani.
E intanto, nella Sala Alessandrina dell’Archivio di Stato a Sant’Ivo alla Sapienza sono esposti 200 metri lineari di documenti del caso Moro: fotocopie del memoriale e delle lettere, le due foto Polaroid, comunicati delle Br. Mentre l’altro giorno è stata istituita la seconda o forse è la terza Commissione parlamentare d’inchiesta sul caso Moro. Fra i trenta e più quesiti ce n’è uno relativo al contenuto e alla sorte delle cinque borse di Moro. In una di queste Moro avrebbe tenuto il copione di un film. Ed ecco allora che tutto sbanda, sobbalza, scarta e di colpo, anche se non proprio all’improvviso, prende una strada impervia, qual è quella delle visioni, o degli eventi creativi e al tempo stesso allucinatori.
Perché forse solo attraverso il cinema, arte della luce nel buio, lanterna di immagini proiettate che si ritrovano e si combinano con altre immagini interiori, è in qualche misura possibile cogliere la dimensione ermetica del caso Moro.
Quella congerie di presagi, segni, coincidenze, slittamenti e suggestioni per lo più occulte, quando non addirittura occultistiche (basti pensare alla seduta spiritica da cui venne fuori “Gradoli”), che comunque ne costringono il ricordo di questa storia ben al di là degli scontati complottismi. Ma al tempo stesso ne dilatano il più stratificato immaginario lasciando intravedere, fra le ombre, e le dissonanze, le deviazioni mimetiche e le parentesi oniriche, abbaglianti scorci di verità.
Ecco dunque La recita della storia. Il caso Moro nel cinema di Marco Bellocchio ( Bietti, 315 pagine, 22 euro). L’autore è un critico e uno studioso di cinema, Anton Giulio Mancino, specialista del genere politico indiziario; mentre la prefazione è di Giorgio Galli, politologo di grande fama che dell’approccio al lato oscuro della politica può considerarsi il più prestigioso maestro.
Bellocchio, che nel 2004 firmò “Buongiorno, notte”, appunto dedicato al rapimento di Moro, è qui utilizzato come antenna e insieme chiave d’accesso per fare i conti con la materia forse più ingarbugliata della recente vicenda italiana, il classico rituale di passaggio destinato a cambiare tutto. Attraverso un immane scavo nella filmografia di uno dei più grandi e prolifici registi italiani, l’autore insegue date, toponimi, nomi di donne, evocazioni storiche e letterarie; classifica dialoghi criptati e miratissime inquadrature; viviseziona ammissioni, omissioni, rimescolamenti attraverso cui Bellocchio fa defluire quel fardello che tuttora angustia le cronache. Il lettore vi troverà molto più di quanto, ormai dieci anni orsono, un normale spettatore di “Buongiorno, notte” si poteva aspettare: poesie e citazioni di brigatiste, il 5 maggio di Manzoni, Napoleone a Sant’Elena, l’Enrico IV di Pirandello, e poi orologi, gatti, canarini, perfino “fagiolini”, come sono detti i seguaci dell’analisi collettiva del professor Fagioli.
Sorprendono senza dubbio alcuni riferimenti, per esempio l’individuazione di una figura femminile ricorrente tra fiction e non-fiction nell’attrice Anna Bonaiuto, ma al dunque nel saggio non c’è nulla che non sia già stato “rivelato” in tutta quella sterminata e anche bislacca pubblicistica che Mancino, sulla scorta di Borges, designa come la “Moroteca di Babele”.
Il punto sensibile, semmai, è che proprio per le dimensioni assunte pure a livello giudiziario, oltre che per l’ampiezza di materiali anche di consumo, dall’opera lirica ai fumetti fino alle leggende metropolitane, il caso Moro non sembra solamente sfuggito di mano a se stesso, ma è ormai vissuto come una tragicommedia nella quale gli italiani sono rimasti intrappolati, come in un sogno altrui.
Replicò un giorno Norberto Bobbio a Cossiga: «Quando non si vede bene cosa c’è ‘davanti’, viene spontaneo chiedersi cosa c’è ‘dietro’». Per cui anche al netto di ogni dietrologia, nota Giorgio Galli, dell’affaire Moro permangono gli arcani con romanzesca reticenza e tenebrosa intensità.
Sono segreti cresciuti ai margini della follia. Chi dimenticherà mai le polemiche su Moro impazzito? E non eccedevano l’equilibrio mentale i progetti dogmatici dei suoi carcerieri?. «Pensa se gente che scrive così ci dovesse governare» fa dire Bellocchio allo sceneggiatore che di cognome fa Passoscuro, altro luogo che ricorre nella veridica leggenda dei 55 giorni e dei loro trascurati nascondigli.
Un autentico contagio paranormale pervade l’intera vicenda: gli spiritisti di Zappolino, la cartomante di Metropolis, i veggenti consultati dalla polizia, i ciechi che prima del rapimento vengono a sapere da sconosciuti ciò che avverrà l’indomani; e ancora avvertimenti, precognizioni, maledizioni, equivoci e scambi di persona, psichiatria, grafomania, massoneria e perfino fantascienza, di cui dai libri sequestrati nel covo di via Gradoli risulta che uno o due capi delle br fossero appassionati lettori.
Lo stesso Moro, condannato anzi tempo, si esprime ancora in vita come fosse uno spettro, con toni shakespeariani, «il mio sangue ricadrà su di voi» — vaticinio di lì a vent’anni avveratosi. Lascia agli atti della prima Commissione Leonardo Sciascia (fantastiche le sue domande ai professori della seduta spiritica): «I fantasmi appaiono come in Amleto quando i colpevoli non sono stati puniti, e quando il mistero persiste. Fino a quando questo mistero non si scioglierà, Moro sarà un fantasma terrorizzante per alcuni. E per gli altri sarà il fantasma della giustizia che dovrà arrivare ». In attesa, tra impostori e profeti, domina l’enigmistica — e anche se non è una consolazione, stai a vedere che forse solo il cinema d’autore riesce a tenerle testa.
Filippo Ceccarelli, la Repubblica 2/6/2014