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 2014  giugno 02 Lunedì calendario

GRATTACIELI, DOPPIE SEDI UN TG DA 4 MILIONI DI EURO ECCO I CONTI DELLA PERIFERIA


MILANO.
Il caso più chiacchierato riguarda proprio la Firenze di Matteo Renzi. La sede regionale a due passi dal Lungarno e con gradevole vista sui colli toscani la volle Ettore Bernabei, fiorentino, democristiano e potentissimo gran capo di mamma Rai dal 1960 al ‘74. Non si badò troppo a spese, di mezzo c’era stato anche la grande alluvione e la città si meritava un riconoscimento: 18mila metri quadrati di palazzo ad opera dell’architetto (fiorentino) Italo Gamberini. Oggi ci lavorano 132 persone. Calcolatrice alla mano, fanno 136,4 metri quadrati a testa. Un appartamento di tutto rispetto per ognuno, volendo.
È anche lì, nelle 21 sedi (e 24 redazioni) che la tv pubblica ha o prende in affitto nelle varie regioni italiane, che da anni si dice, si ripete e si intima di tagliare sprechi grandi e piccoli. In Sardegna ad esempio ci sono due basi Rai: una a Cagliari, l’altra a Sassari. Una nel capoluogo vero, l’altra in quello politico, perché da lì venivano Francesco Cossiga, Antonio Segni, Enrico Berlinguer. Oggi nella seconda ci lavorano sette persone, 1100 metri quadrati a disposizione. Chiudiamola? Ma no, insorge il senatore pd Silvio Lai, sassarese. «Sassari ha la specificità di essere la provincia più vasta d’Italia spesso interessata a eventi internazionali» eccetera eccetera. Oppure Genova. «La Rai sta dentro ad un grattacielo di 12 piani ma ne occupa a malapena tre», fu la denuncia di Milena Gabanelli sul Corriere della Sera , l’inaspettato fuoco amico. A cosa servono tutte queste sedi?, si domandò da sola. «A produrre tre tg regionali al giorno — scrisse — con prevalenza di servizi sulle sagre, assessori che inaugurano mostre, qualche fatto di cronaca. L’edizione di mezzanotte costa 4 milioni l’anno solo di personale. Perché non cominciare a razionalizzare?». Le rispose l’Usigrai: «Le redazioni regionali non producono solo tre tg al giorno, ma tre telegiornali, due giornali radio, gli appuntamenti quotidiani della mattina Buongiorno Regione e Buongiorno Italia, un tg scientifico quotidiano, un settimanale, diverse rubriche quotidiane e settimanali a trasmissione nazionale, cui vanno aggiunti tutti i servizi che ogni giorno vengono prodotti per i tg nazionali. Solo per fare alcuni numeri: da Milano, Torino e Napoli arrivano oltre 12mila pezzi all’anno. In sintesi, la TgR produce 8500 ore tv e 6200 radiofoniche». Per la manutenzione edile degli uffici delle città citate dal segretario Usigrai, più Roma, un bando di gara della Rai ha previsto una spesa triennale di 9 milioni e 590 mila euro. E le semplici pulizie?
Altro bando da quasi 36 milioni di euro in quattro anni. Poi ci sono le frequenti trasmigrazioni dei funzionari romani mandati fuori dalla Capitale a dirigere le sedi locali. Esilio forse, dorato di sicuro: oltre allo stipendio, 3000 euro al mese per un alloggio decente e 700 euro a settimana per la trasferta.
Gli sprechi si sprecano, ma sul dove cominciare a tagliare nessuno si mette mai d’accordo, perché lo spreco vero è sempre altrove. Gli uffici di corrispondenza dall’estero, allora?
Sono undici, Africa compresa (nello specifico, Nairobi); e adesso potrebbe riaprire Istanbul. Perché non partire da lì?, si chiedono a Sassari, o magari la redazione slovena di Trieste, o quella ladina di Bolzano. Si sa comunque che a Sky il costo del lavoro pesa per il 7% dei ricavi, a Mediaset per il 13 e in Rai per il 36%. Con i compensi milionari ai big che pesano come macigni. Un anno fa il Codacons inviò un suo dossier alla Corte dei Conti mettendo in luce i vari compensi mostre, i magistrati contabili aprirono un’istruttoria. Una grande famiglia quella della tv di Stato, dove oltretutto nei fatti ci si fa la guerra. Il consigliere della Rai Antonio Pilati (quota centrodestra) si sfogava sul Foglio: «Ogni rete è un mondo a sé, in concorrenza con gli altri, una repubblica autonoma che non esita a tirare calci agli stati confinanti». Salvo la tregua dell’11 giugno per lo sciopero unitario contro i tagli.

Matteo Pucciarelli, la Repubblica 2/6/2014