Marco Moussanet, Il Sole 24 Ore 3/6/2014, 3 giugno 2014
BRUXELLES FA LE PULCI AI CONTI FRANCESI (MA NON INFIERISCE)
PARIGI.
A Bruxelles insistono nel dire che non si tratta di una decisione politica. Che il fatto di riconoscere gli sforzi fatti dalla Francia in termini di riforme e di riduzione del deficit privilegiando finalmente il taglio della spesa rispetto all’aumento delle tasse - e quindi di non immaginare delle sanzioni per deficit eccessivo nei confronti del nuovo malato d’Europa - non ha nulla a che vedere con il risultato elettorale del 25 maggio. Che non è insomma una risposta all’appello lanciato dal presidente François Hollande («L’Europa deve capire quanto succede in Francia») dopo il trionfo del Front National di Marine Le Pen.
Eppure, leggendo le raccomandazioni inviate dalla Commissione a Parigi, il dubbio resta. «La strategia di bilancio presentata nel programma di stabilità per il 2014 - recita il documento - non è che parzialmente conforme alle esigenze del patto di stabilità e di crescita. E il livello di dettaglio delle misure di risanamento fiscale è insufficiente a garantire in maniera credibile la correzione del deficit eccessivo nel 2015, come lascia peraltro intravvedere la previsione della Commissione (3,4% del Pil) e tenuto conto di un aggiustamento strutturale lungi dal rispettare le indicazioni fornite dal Consiglio».
La lista dei suggerimenti della Commissione è lunghissima. Va dalla «significativa riduzione delle spese sanitarie e farmaceutiche» al varo della nuova legge sugli enti locali (Hollande dovrebbe annunciare oggi il passaggio da 22 Regioni a 11). Da una nuova riforma delle pensioni (che vada a intaccare i privilegi dei dipendenti pubblici) a un’ulteriore diminuzione del costo del lavoro e del prelievo contributivo a carico delle imprese (le nuove misure già annunciate vanno certo nella buona direzione, ma «riducono di appena la metà il divario tra la Francia e la media della zona euro»). Da una più grande flessibilità del mercato del lavoro (con una maggiore possibilità di derogare al salario minimo) a una liberalizzazione delle professioni protette, del mercato dell’elettricità (dove i vecchi monopoli resistono grazie alle tariffe amministrate) e del settore ferroviario (il trasporto passeggeri sulla rete interna non è ancora aperto alla concorrenza). Fino al calo della pressione fiscale sulle imprese (in alcuni casi quella nominale raggiunge il 38,1%).
Una pagella con ben poche sufficienze. Ma l’annuncio delle prime, pur timide, riforme, l’esiguità dello scarto (nell’ordine dello 0,2%) tra deficit strutturale promesso e realizzato nel 2013 e 2014, la garanzia che la manovrina di giugno (da 4 miliardi) basterà a rispettare l’obiettivo di deficit di quest’anno e le reiterate dichiarazioni sull’intenzione di scendere al 3% l’anno prossimo (dopo aver ottenuto due anni di deroga) sono bastati a evitare la bocciatura.
Anche se l’avvertimento è chiaro: le misure sono ancora poco definite, il timing è troppo lento e comunque i 21 miliardi di tagli programmati per l’anno prossimo non bastano.
La commissione, per bocca del presidente Barroso e del commissario Rehn, si è premurata di ribadire che da Bruxelles non arrivano ordini bensì indicazioni. E che «è interesse innanzitutto della Francia e dei francesi garantire al Paese uno standard di competitività adeguato a un contesto internazionale sempre più esigente». Ma questo non ha ovviamente evitato l’inevitabile bordata del Front National: «Le raccomandazioni confermano che il nostro Paese è sotto la tutela ultraliberista di un’autorità sovranazionale decisa a dissanguare i popoli».
Marco Moussanet, Il Sole 24 Ore 3/6/2014