Paolo Siepi , ItaliaOggi 3/6/2014, 3 giugno 2014
PERISCOPIO
Nel dicembre 2003 Guido Ceronetti segnala una scritta su un muro in provincia di Bari: «Berlusconi era il mio Dio, ora sono ateo». Claudio Velardi, L’anno che doveva cambiare l’Italia. Mondadori, 2006.
Nel reparto Crsr (Convertiti al rottamatore per salvarsi dalla rottamazione) svetta Dario Franceschini, che due anni fa cinguettava: «Bersani ragiona, Renzi recita». Infatti, se ragionasse, non l’avrebbe fatto ministro della Cultura. Come disse Andrea Orlando, «basta passare con Renzi che si diventa nuovi, quando si passa con Renzi si diventa nuovi anche se non lo si è di curriculum». Tipo lui, che ora fa il ministro della Giustizia. Il veltroniano (corrente Alitalia) e poi bersaniano Matteo Colaninno nota «un grande patrimonio del Pd che ora avrà un responsabilità ancora più grande di cambiare l’Italia e guidare una nuova fase dell’Europa» (sempre volando Alitalia). E Bersani, quello che «Renzi è un pazzo» e «ho salvato il cervello ma non lo do di certo a Renzi», che ne dice di lui? «Complimenti a Renzi» e «adesso prendiamoci le nostre responsabilità in Italia e in Europa». E Max D’Alema, quello che «Renzi è ignorante e superficiale» e «non ha mai letto un libro in vita sua»? Oggi «Renzi è un grande leader» ma «non si arriva al 40% senza un grande partito». Marco Travaglio. Il Fatto.
«Il povero invidia al ricco, non le possibilità di comportamento nobile, ma le abiezioni alle quali la ricchezza le autorizza». Frase perfetta scritta dal genio di Dàvila in stato eremitico. Lui sì, filosofo sociale; solo i solitari si confermano socievoli. Geminello Alvi, Il capitalismo. Marsilio.
Tra i portoghesi che regolarmente, a Roma, non pagano il biglietto, ne riconosco sempre uno che salta i tornelli come un atleta. E ho pure notato che i vigili urbani si voltano dall’altra parte: li ho visti invece multare un giovanottone dall’aria per bene che diceva di aver smarrito il biglietto. Ha versato 50 euro ripetendo, con l’aria umiliata: «Ma ho la faccia di uno che non paga il biglietto, io?». Francesco Merlo. la Repubblica.
Il sindaco di Roma, Ignazio Marino, non mi piace granché. Era partito con idee minime e sono proprio quelle che i romani preferiscono, come tenere in ordine le strade. Ma la città non è mai stata così piena di buche. Una città deve essere amata. Se uno capisce qual è la vera bellezza di Roma, tante cose le metterebbe in atto, ci vuole un punto di vista estetico che invece viene sempre trascurato. Raffaele La Capria. Corsera.
Aleardo Aleardi era anarchico. Alla Proudhon: diceva che la proprietà è un furto, a me che sognavo di diventare ricco. Al liceo si era iscritto alla Federazione giovanile socialista. Diceva che io non capivo niente, i fascisti erano servi dei padroni, nemici dei lavoratori. Da piccolo era stato fascista pure lui. Tutti in quella casa (anzi in tutto il parentado) erano fascisti. Una buona parte, poi, votava Democrazia cristiana, ma dentro l’anima erano tutti fascisti. Solo papà era diventato democristiano per davvero. Zio Carlìn diceva che Aldo Moro era un comunista. Pure mia sorella Violetta, da piccola, era di destra (parlo di quando facevamo le elementari) e durante le campagne elettorali raccoglievamo i facsimile per le strade e giocavamo alle elezioni per conto nostro: facevamo sempre vincere i monarchici. Eravamo monarchici, io e lei. O meglio, io ero fascista e monarchico, lei solo monarchica. Volevano il ritorno dei Savoia. Adesso era comunista ma, in casa, lei, non si dichiarava, diceva solo: «Sono di sinistra». Antonio Pennacchi. Il fascicomunista. Mondadori, 2003.
I miei scatenati avversari mi hanno accusato di aver citato Renaud Camus, condannato per aver messo in guardia la Francia da un’islamizzazione estremista. Camus è il parìa delle lettere francesi, non ha più editore, ma questo non basta ai mandatari autoproclamati del «mai più questo». Essi vogliono che la sua solitudine sia totale e che non abbia più alcun amico. Ricevo quindi l’ingiunzione di non citarlo più, di non più discutere (anche duramente) con lui. Non sono assolutamente disposto a cedere alle loro ingiunzioni anche perché il motto «tutti contro uno» antifascista, mi sembra una contraddizione in termini. Alain Finkielkraut, filosofo, neoammesso all’Acadèmie de France. le Figaro.
Qualcuno è convinto che il detto «lontano dagli occhi, lontano dal cuore» si riferisca all’ombelico. Alessandro Bergonzoni, il venerdì.
Alla parola «mano» molti ricordi premono e si affollano, questuanti ansiosi di non essere risospinti nel buio. Su tutti, quello di una mattina in una stanza d’ospedale. Ero arrivata per prima. C’ero soltanto io, e mio padre pareva dormisse. D’istinto gli ho preso la mano. L’ho sentita assurdamente, irrealmente fredda. Quel freddo mi ha folgorato. Dalla mia mano alla sua, ho avvertito fisicamente la morte. Ma so che, quando sarò vecchia, le mie mani passeranno per un altro pezzo di storia. Come quello che ho visto una mattina, tra la folla, mesi fa, a Roma, in piazza San Pietro gremita. C’era un uomo alto e grande e grosso, con mani come badili; che teneva nella sua mano quella di una vecchia rattrappita dagli anni. L’uomo teneva quella mano fragile con delicatezza, quasi temendo di farle inavvertitamente male. Come un bambino tiene fra le mani una farfalla, piano, senza serrare le dita. Quei due si avviavano verso viale della Conciliazione, adagio. Nell’aria tersa d’autunno mi immaginavo quelle mani, cinquant’anni prima. «Io sono grande ormai», e subito quel tonfo, e la mano della madre che lo rialzava subito. C’è una storia che le nostre mani raccontano, a saperla ascoltare. Marina Corradi. Avvenire.
Quando avevo vent’anni si fermavano le macchine per vedermi, ora mi arrotano, senza nemmeno fermarsi a vedere quale vecchietto hanno spiaccicato. Luca Scarlini, Alfabeto Poli. Einaudi.
«Chi siete, voi?». «Suor Eva, infermiera diplomata». «Ma non avete messo il vostro velo?». «Quando non c’è di vento, vado a motore». Francis Blanche, Pensèes, rèplique et anecdotes. Editions J’ai lu, 1966.
Alberto Sordi ha imitato alla perfezione gli italiani ma poi, per un misterioso meccanismo di identificazione al contrario, sono stati gli italiani a imitare lui. Lui era noi e noi siamo un po’ lui. Enrico Vanzina, Commedia all’italiana. Newton Compton.
Riusciranno i nostri due amici nella temeraria impresa di far togliere le mutande alla serva? Alberto Arbasino, Specchio delle mie brame. Adelphi, 1995.
Ormai bacio le donne solo con la dentiera. Roberto Gervaso. Il Messaggero.
Paolo Siepi , ItaliaOggi 3/6/2014