Mattia Feltri, La Stampa 3/6/2014, 3 giugno 2014
GRILLO E IL PARTITO LIQUIDO DOVE UNO VALE L’ALTRO
Più che uno vale uno, uno vale l’altro. Pare infatti sia ovvio, nella medesima giornata e alla medesima ora, trascurare la parata del 2 giugno e sostenere che un «Paese senza rispetto dei suoi militari è un Paese senza dignità». I militari in questione sono i due marò detenuti in India e senz’altro i parlamentari a cinque stelle non trovano contraddizione fra le cose fatte e le cose dette. Del resto la campagna elettorale delle Europee è stata condotta sull’accusa di voto di scambio rivolta a Matteo Renzi per gli ottanta euro in busta paga, mentre la promessa di un reddito di cittadinanza «è un’idea seria e concreta», come ha detto Beppe Grillo a Bruno Vespa. Il quale Vespa era stato premiato, dopo sondaggio online promosso proprio da Grillo, col microfono di legno per il «giornalista più fazioso». Così l’uomo indisponibile alla corruzione televisiva, alla fine in tv ci è andato, è andato giustamente dal «più fazioso» e alla fine l’ha elogiato: «Vespa è stato corretto».
Non ci si fermerebbe mai. Una sentenza chiama sempre una controsentenza e poi una sentenza successiva con immediato ribaltamento. In questi giorni il presidente della commissione di Vigilanza della Rai, il grillino Roberto Fico, esprime perplessità sui 150 milioni di euro chiesti dal governo alla tv pubblica: «Non rappresentano purtroppo una revisione di spesa ma sono la maschera per svendere parte di Raiway, la società che detiene l’infrastruttura pubblica di trasmissione». Alla presidenza della commissione Fico ci era arrivato perché, disse Grillo un anno fa, la Rai offre «propaganda gratis a spese di tutti i contribuenti italiani che hanno ripianato la perdita di 200 milioni di euro del 2012». Renzi taglia? Non è così che si taglia. Si propone la cancellazione delle province? Non è così che si cancellano le province. Fine del bicameralismo paritario? Non è così che se ne decreta la fine. A un anno e qualche mese dall’inizio della legislatura, il Movimento non ha trovato un punto di incontro su alcun argomento con alcun partito, a costo di sembrare incoerente e prevenuto. Del resto Grillo non voleva nemmeno incontrare Renzi nei giorni precedenti alla formazione del governo; interpellò la rete che diede indicazione opposta: vai a sentire che ha da dirti. Grillo partì da Sanremo, giunse a Roma dopo sei o sette ore di automobile, si presentò da Renzi e gli disse: con te non ci parlo. Fine. Addio.
È stata l’ultima volta che abbiamo visto Grillo in streaming. Eccolo, streming: uno dei termini fondamentali del vocabolario grillino. Manderemo tutto in streaming. Trasparenza. La casa di vetro. Già alle prime riunioni dei parlamentari grillini negli hotel romani la diretta streaming funzionava forse che sì forse che no, ma più probabilmente no. Oggi non interessa più a nessuno: Grillo vola a Londra a incontrare l’ultraconservatore Nigel Farage, e non se ne sa niente, impossibile vedere, vietato ascoltare. Si installano le basi di un’alleanza imprevedibile («non ci alleiamo con nessuno, la demolizione è cominciata», diceva Grillo un anno fa e lo ha ripetuto per l’anno successivo) e stordente, visto che l’Ukip ha accenti xenofobi e, per stare su questioni più centrali della politica a cinque stelle, sostiene l’energia nucleare. Il Movimento è per le rinnovabili eppure non trova agganci coi Verdi, e sarebbe questione di normale garbuglio italiano: più complicato orientarsi sulle elevate questioni costituzionali, risolte da Grillo con linguaggio classico e sincero: «La Costituzione non è carta da culo». Ha stilato un elenco così di stupratori di legge fondamentale, e però dentro il suo gruppo ha reintrodotto il vincolo di mandato - cioè l’obbligo di votare in conformità col partito - previsto solamente nelle costituzioni del Portogallo, dell’India, del Bangladesh e di Panama. È tutto così rotatorio da essere indiscutibile, si passa dal «siamo andati oltre la sconfitta» del 26 maggio a «la nostra affermazione è stata trasformata in una Caporetto, una Waterloo» di quarantotto ore dopo. No sconfitta no dimissioni. Anche perché, dice Grillo, «dimettermi da che? Non ho cariche». Aveva detto: «Se perdo vado a casa sul serio». È tutto buono. Uno vale l’altro. E poi, al massimo, Grillo scherzava.
Mattia Feltri, La Stampa 3/6/2014