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 2014  giugno 03 Martedì calendario

LO JIHADISTA DELLA PORTA ACCANTO


Dice “Salam” anche quando risponde al telefono, in inglese. Discute in arabo con i compagni di viaggio, parla in francese con lo steward della sala d’attesa dell’aeroporto Blécherette, a Losanna, e infine, con effetto sgargiante, conversa in italiano con me. L’inflessione è salentina. Indossa l’elegante ghutra, il copricapo che protegge dal sole e dalla sabbia mediorientale. Ha la barba, gli occhi chiari, il naso arricciato. Veste la tunica lunga fino alla caviglia su cui si avvolge, sontuosa, la galabia. È Kamal, trentadue anni, pugliese originario di Minervino, una vita spesa tra l’Italia, l’Inghilterra e la Siria.
Suo padre, italiano convertito nel 1973 sull’onda dei viaggi hippy verso Katmandù, “nella sosta in Afghanistan” ha generato la sua cellula, il suo destino. «Se usa la parola cellula piombano giù dal cielo i Marines. Mio padre, Omar, con il suo nuovo nome tornò all’islam e gettò le fondamenta di ciò che sono diventato».
Mediatore d’affari, Kamal — “guerriero dal cuore schietto”, lo loda così uno dei suoi — lavora con i sauditi. Laurea in economia a Londra, ha conosciuto tutte le sfumature della cultura occidentale. Parla un italiano da emigrato all’estero ma dell’eredità paterna ha disperso sia quella materiale — «un palazzo a Lecce, venduto da lui negli anni ‘80» — sia quella religiosa: «È tornato a Dio, lui. Io ho scelto la purezza. E la durezza».
Guerriero significa jihadista nel linguaggio d’Occidente. Ce ne sono anche in Europa, come raccontano i rapporti dell’intelligence. «Ma non sono così tanti, e nel nostro Paese si contano sulle dita di una sola mano». Kamal alza il braccio, lascia scivolare la larga manica della galabia. Fa uno, due, tre con indice, medio e anulare e spiega: «I cosiddetti jihadisti, in Italia e per giunta italiani, non possono che essere pochi».
I campi di addestramento sono stati individuati a Sitra, in Bahrain. Gli jihadisti sono stati impegnati in azioni di guerriglia sul campo: fronteggiando le sommosse dopo l’estate del 2011. «Certo», racconta Kamal, «in quei giorni io c’ero. Ma quegli infedeli non cercavano una primavera di libertà. Erano solo terroristi al soldo degli ayatollah… ». Questa è la logica feroce dell’odio, del fanatismo: la logica del sangue. L’infedele è un nemico da annientare. E per gli jihadisti sunniti gli sciiti sono infedeli. «Volevano fare del Bahrain un’altra Siria», prosegue Kamal, lanciando strali contro le vittime innocenti della repressione. Venti morti, quattrocento feriti già nel “giorno della collera”, il 14 febbraio, durante la protesta indetta a Manama, in Bahrain, dalla popolazione sciita, maggioritaria ma perseguitata.
Lo jihadismo è un’eresia nell’Islam. È un’ideologia, un allarme nel cuore dell’Europa. Almeno duemila occidentali di fede islamica stanno combattendo in Siria. Contro Bachar Al Assad. Ancora qualche giorno fa, Nasrallah ha accusato gli Usa e i loro alleati di mandare terroristi in Siria. Kamal ne è un vero ideologo. «La Jihad degli europei ora è a Damasco. Ma c’è una cosa da capire: è vero che i servizi segreti lanciano l’allarme, eppure sono gli stessi che poi permettono il transito dei terroristi. Sono le vicende del basso mondo? Ma questa non è neppure finta, discordia. Questa è solo zizzania. Ricordiamolo: il nemico del mio nemico è mio amico». Anche quando si tratta di America? «Anche, certo. È amica. Per ora. E combatte il mio nemico Assad. Ma non possiamo dire che l’Occidente abbia fatto qualcosa per impedire il genocidio in atto in Siria. La percezione, tra le macerie, quando si parla con la gente disperata, con le famiglie orbate dei bambini, è un’altra. La storia si ripete: siamo come l’Ungheria tra le fauci dell’Urss. Il mondo si volta dall’altra parte».
La racconta come la guerra di Spagna. Vi arrivavano da tutto il mondo per combattere. «Il mio bisnonno e suo fratello», racconta Kamal, «vi presero parte. Uno con i comunisti, l’altro a difesa dei crociati cristiani».
Tutto l’Occidente è schierato contro Assad. Oggi Hemingway sarebbe dalla parte dei cosiddetti ribelli, con Kamal. Fa una battuta: «Per lui il dopo sarebbe un problema. Non troverebbe da bere».
La storia di Kamal è un innesto. La madre è afghana. Lui, invece, ha sposato una ragazza di Ar Raqqah ai confini con il Libano. C’è ben più del Levante. Non spiega come mai uno come lui cresciuto in Occidente, benestante, sceglie la via del terrorismo. Dice solo: «Dopo l’attentato alle Due Torri, la dimensione di uno come mio padre, quella fascinazione derivata chissà da cosa, magari dalla voglia di ebbrezza d’hascisc, in vacanza, per poi incontrare l’Islam, non c’è più. Prendevano l’Islam come una scelta esotica. Ma non siamo stati mai un esotismo: magari qualcuno equivocava, ma dopo la cattura e la morte di Osama bin Laden i crociati sono rimasti in campo, la guerra non è mai finita e oggi, in Siria, il popolo muore».
Kamal dice di avere tre figli. Conduce una vita agiata, fa tanti soldi, non ha frustrazioni sociali e ormai parla della guerra come se fosse la condizione ovvia e quotidiana. «Come si vede che non conoscete più la guerra, voi! Al limite avete i Forconi, i No Tav. La guerra è puzza di paura: è sangue, è urina, è l’adrenalina che amministra la vita. C’è uno cui devi sparare e uno che deve sparare a te. È qualcosa che sai come comincia e mai come finisce. Disprezzi e ammiri chi hai di fronte, giochi tutto a due chilometri di distanza. Non c’è Utopia, non c’è la Gerusalemme Terrestre. Questo è il basso mondo, è la dunya».
Kamal è uno jihadista. «Tutti i musulmani hanno il dovere del jihad. È dovere di ogni credente difendere i fratelli, ergersi a baluardo contro chi fa strame di donne e strage di bambini. È un dovere correre in soccorso della vita, dell’onore e della proprietà di ogni musulmano».
L’odio religioso giustifica tutto: anche trovare il nemico dentro la propria stessa famiglia. «Mio cognato, Salman, combatte con loro. Sta nell’esercito regolare di Assad». Si combattono, ma si scambiamo fotografie e video. Kamal accende l’i-Pad e scarica la posta elettronica. Seleziona la corrispondenza con il cognato. Scorre tra le mail una sequenza di video dove tutta quella puzza, quel sangue e quell’adrenalina si scioglie come in un acquerello macabro. I filmati su youtube sono didascalici: esecuzioni, tagliagole, mitragliatori e obici.
Scene disgustose e raccapriccianti. È l’orrore della guerra. Il sacrosanto diritto alla libertà non si concilia con chi squarta i propri nemici e si ciba del loro fegato, come ha fatto lo scorso febbraio Abu Sakkar, “il ribelle”, facendosi riprendere in un video. Ma Kamal non vede la contraddizione. La sua convinzione è quella di affrontare un combattimento spirituale, una guerra celeste che riguarda il paradiso. «L’Occidente butta tutto nella pentola della politica. La questione — conclude Kamal spegnendo il suo iPad — è solo metafisica».

Pietrangelo Buttafuoco, la Repubblica 3/6/2014