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 2014  giugno 03 Martedì calendario

MIGRANTI, IL TARIFFARIO DELLA VERGOGNA “DUECENTO DOLLARI PER UN SALVAGENTE”


POZZALLO.
Se vuoi il salvagente devi pagarlo a parte, 200 dollari. E adesso anche l’acqua, e persino un tozzo di pane o una scatoletta di tonno. Si paga per avere un telefono satellitare a disposizione e per scegliere il posto. E per proseguire il viaggio verso la meta finale una volta arrivati in Italia.
Ora anche sulle carrette che attraversano il Canale di Sicilia si può viaggiare “in prima classe” con le dotazioni di sicurezza o accontentarsi della “terza classe”, nel vano stretto a contatto con la sala motori, senza aria e inalando i vapori tossici della benzina. Chi ha soldi paga, chi non ne ha più si accontenta. E i trafficanti di uomini, che ormai contano su tragitti molto più brevi e sicuri, andando incontro alle navi di Mare nostrum il cui baricentro è sempre più spostato in avanti, ormai fin dentro le acque territoriali libiche, hanno scoperto come lucrare sugli “optional” della traversata. Le stime fatte dagli inquirenti, grazie alle testimonianze dei migranti soccorsi, parlano di cifre esorbitanti: per ogni viaggio le organizzazioni criminali riescono a guadagnare da un minimo di 400.000 euro fino ad un milione di euro. E rischiando pochissimo visto che, sempre più spesso, come scafisti vengono utilizzati, in cambio di un passaggio gratuito o di un piccolo compenso, passeggeri che hanno qualche nozione di mare.
Come Karim El Hamdi, 33enne tunisino, il primo scafista “pentito” che - vistosi identificato dagli uomini della squadra mobile di Ragusa diretti da Antonino Ciavola al suo arrivo a Pozzallo - è crollato indicando gli altri componenti dell’equipaggio e dicendo: «Sono io il comandante di questo barcone, vi racconto tutto ma voglio uno sconto di pena. Sono un pescatore, dovevo imbarcarmi anch’io, i libici mi hanno proposto di pagarmi 1.500 dollari se avessi condotto il peschereccio».
È stato lui a ricostruire il prezziario degli optional del viaggio, a cominciare dal più odioso: i 200 dollari per ottenere un salvagente, senza eccezioni per nessuno, neanche per bambini e donne incinte. Tra tutti, i siriani sono quelli che lo “comprano” sempre: hanno più disponibilità economica e viaggiano con le famiglie al seguito. Pagano il viaggio molto di più degli altri, fino a 2.500 euro invece dei 1.500 standard, anche se spesso riescono a strappare uno sconto-famiglia. Loro possono scegliere sul peschereccio i posti migliori. Come su un aereo di una linea low cost: chi vuole viaggiare all’aperto e in posti più riparati paga fino a 200 euro in più di chi invece accetta di farsi stipare sotto coperta, viaggiando in piedi, senza potersi muovere e a contatto diretto con il motore in un’aria irrespirabile. Il barcone affidato allo scafista pentito solo per miracolo non si è rovesciato, visto che i passeggeri che stavano sottocoperta, ormai con difficoltà di respirazione, hanno cominciato a muoversi rischiando di sbilanciare l’imbarcazione a bordo della quale viaggiavano in 266. «Durante tutto il viaggio — ha raccontato un giovanissimo eritreo che non aveva soldi per il sovrapprezzo — non ci hanno dato né da mangiare né da bere. Molti bambini sono arrivati in condizioni pietose, così anche le donne e qualcuna, incinta, si è sentita male».
A caro prezzo, da due a trecento euro, si paga la disponibilità di un Thuraya, i telefoni satellitari che prima di partire i trafficanti offrono di solito ai siriani sia per comunicare con chi li attende o con chi è rimasto a casa, ma anche per utilizzare il gps e stabilire le coordinate in mare.
Ormai, chi affronta la traversata, è costretto a pagare due o tre volte. Da 1.500 a 2.000 euro per arrivare in Libia via terra, i siriani attraverso l’Egitto e gli eritrei attraverso il Sudan. La stessa cifra viene richiesta prima di salire sui gommoni che li porteranno sui pescherecci a bordo dei quali, di norma, si rimane per giorni in attesa di raggiungere il più alto numero possibile di passeggeri. E poi, in tanti, pagano anche in Italia per il “transfer” verso la destinazione finale quando l’organizzazione li ricontatta dopo la fuga dai centri di accoglienza per portarli il più delle volte oltreconfine. Anche Samir, un bimbo di 11 anni, arrivato da solo la scorsa settimana, sapeva di dover attendere “qualcuno”. «Sono l’unico maschio di casa, ho sette sorelle, i miei genitori hanno pagato per me. Mi hanno detto: ti faranno andare a scuola, impara la lingua, poi trovati un lavoro e manda i soldi a casa».

Alessandra Ziniti, la Repubblica 3/6/2014