Javier Cercas, la Repubblica 3/6/2014, 3 giugno 2014
LA LIBERTÀ E GLI ERRORI
L’abdicazione è, probabilmente, l’ultimo importante servizio che il re Juan Carlos avrà reso alla Spagna. Il primo è stato il decisivo contributo all’instaurazione della democrazia nella seconda metà degli anni Settanta.
Senza il re non avremmo avuto democrazia, o non l’avremmo avuta allora ma solo anni più tardi, o non quella che conosciamo. Il secondo servizio fondamentale è stato evitare che il 23 febbraio 1981 la democrazia si concludesse ancora prima di iniziare o che diventasse una semidemocrazia. È quello il vero giorno d’inizio della nostra democrazia, quello in finirono la dittatura e la guerra civile. Quel giorno il re si conquistò una legittimità che fino a quel momento non poteva nemmeno sognarsi di avere, perché fino ad allora il potere lo doveva a Franco e la legittimità all’aver rinunciato a quei poteri o a parte di quei poteri per cederli alla sovranità popolare scegliendo di diventare un monarca costituzionale. Sorprende che quel giorno sia ancora il più controverso del suo regno.
O forse non dovrebbe sorprendere. Come tutti sanno bene, il 23 febbraio 1981 è ormai una grande narrazione collettiva, un amalgama di più di trent’anni di idee fantasiose, teorie infondate, speculazioni romanzesche, mezze verità, che si spiega col fatto che fu un colpo di Stato improvvisato, per il quale non sono stati trovati documenti o prove in grado di confutare in maniera incontestabile tali e tante assurdità. Ebbene, la prima e forse la principale narrazione fantasiosa riguardante il colpo di Stato è che esso sia stato ordito dal re. Oltre a una fantasia, questa convinzione è una solenne sciocchezza, presente tuttavia ancora in molti solenni documenti (così come in altri si sostiene che non siano ancora stati chiariti del tutto l’attentato dell’11 marzo 2004 alla stazione madrilena di Atocha, ovviamente il golpe del febbraio 1981, l’assassinio di Kennedy o quello di Abele da parte di Caino). Il fatto è che nella storia di totalmente chiaro, di veramente chiaro non c’è alcun episodio. Attribuire il golpe al re è una sciocchezza anche per l’ovvio motivo che se fosse stato il re a guidarlo esso sarebbe riuscito. La verità sta in ciò che appare ovvio. Fu il re a fermare il colpo di Stato avvalendosi dell’ultima carta di un re senza potere: quella che aveva in quanto capo simbolico dell’esercito ed erede di Franco. Ciò non significa, naturalmente, che prima del golpe — e ripeto, prima del golpe — egli non avesse commesso errori. Li commise, tanti, e molti anche importanti, ma non fu l’unico. Li commisero anche molti altri leader politici e della società. Furono quegli errori, e non solo quelli del re, a condurre al colpo di Stato. Ciò non implica che le azioni del re per contrastare il colpo di Stato siano state tutte irreprensibili, ma non è stato ancora scritto il manuale su come si ferma un colpo di Stato. Quel che è certo, ripeto, è che il re lo fermò e che fermandolo salvò la democrazia. Solo per questo dovremmo essergli grati. Per amor di chiarezza, preciso di non essere monarchico, ma anche che, secondo me, in questo momento il vero dilemma del Paese non sia la scelta tra monarchia e repubblica, ma quella tra una democrazia di maggiore o di peggiore qualità. In altre parole, preferisco mille volte vivere in una monarchia come quella svedese che non in una repubblica come quella siriana. E non vedo quali aspetti dei problemi della disoccupazione, dell’istruzione o della sanità risolveremmo sostituendo la monarchia con una repubblica. Molte persone della mia generazione tendono ad attribuire tutti i mali del nostro presente alle carenze del periodo della transizione. A mio avviso questo è un atteggiamento ipocrita e facilone: la transizione è stata indubbiamente un artificio, ma bisogna essere pazzi per non preferire mille volte quell’artificio allo sciagurato conflitto civile che il mondo prevedeva per il nostro Paese alla fine della dittatura. La transizione partorì una democrazia fragile, povera e limitata, come era logico aspettarsi dopo quarant’anni di dittatura. Tuttavia, se oggi non abbiamo ancora una democrazia forte e ricca non è per colpa dei nostri padri fondatori, ma per colpa nostra: siamo stati noi, e non loro, a non dimostrarci all’altezza del compito di migliorarla. Non ci vuole molta immaginazione per ipotizzare che la causa dell’abdicazione del re sia il suo sentirsi vecchio e stanco e la convinzione che essa rappresenti la scelta migliore per la monarchia al cui ripristino tanto duramente ha lavorato, o forse uno shock positivo per il Paese. Speriamo che abbia ragione. Occorre essere il più critici possibile riguardo alla dura realtà che vivono tante persone intorno a noi, ma ignorare che i quasi quarant’anni del regno di Juan Carlos I siano stati i migliori della nostra storia moderna, quelli in cui abbiamo goduto della maggiore libertà e prosperità, è semplicemente ignorare la nostra storia moderna. E questa ignoranza del presente potrebbe riproporci il peggio del nostro passato.
(Traduzione Guiomar Parada)
Javier Cercas, la Repubblica 3/6/2014