Aldo Grasso, Corriere della Sera 3/6/2014, 3 giugno 2014
«I neonomadi metropolitani che anelano al paesello di campagna non si rendono conto pienamente dell’abbaglio e ognuno pensa di fuggire in un altrove da cui tutti stanno egualmente fuggendo — per primi gli ultimi figli degli ultimi contadini, per quanto tecnologizzati, equamente dispersi fra Scienze politiche e Arte e spettacolo, che hanno la facoltà di far dilapidare agli iscritti il patrimonio finanziario e colturale accumulato da generazioni di nonni e genitori agricoltori, casari, allevatori di bestiame, apicoltori e vignaioli abbandonati a tener duro nelle ultime fattorie a conduzione familiare rimaste senza eredi naturali e con gli indiani sikh a curare le mucche
«I neonomadi metropolitani che anelano al paesello di campagna non si rendono conto pienamente dell’abbaglio e ognuno pensa di fuggire in un altrove da cui tutti stanno egualmente fuggendo — per primi gli ultimi figli degli ultimi contadini, per quanto tecnologizzati, equamente dispersi fra Scienze politiche e Arte e spettacolo, che hanno la facoltà di far dilapidare agli iscritti il patrimonio finanziario e colturale accumulato da generazioni di nonni e genitori agricoltori, casari, allevatori di bestiame, apicoltori e vignaioli abbandonati a tener duro nelle ultime fattorie a conduzione familiare rimaste senza eredi naturali e con gli indiani sikh a curare le mucche. Basta dare un’occhiata fuori dal finestrino in un punto qualsiasi dell’Autostrada del Sole...». Basta dare un’occhiata a una pagina qualsiasi di Sentire le donne. 1989-2014 di Aldo Busi per captare al volo come il quotidiano possa trasformarsi in letteratura. Sentire le donne è un libro uscito da Bompiani nel 1991. Raccoglieva alcuni reportage che Busi aveva scritto per quotidiani e settimanali, a partire dal 1989. Dovrei scrivere «celebri reportage» perché, a ogni uscita, quelle descrizioni, quegli incontri, quelle indagini suscitarono commenti, polemiche, discussioni. Di solito, in Italia, lo scrittore che collabora con i giornali ambisce solo alle pagine culturali, difficilmente si «sporca» con la cronaca, con il frammento, con le macerie, persino con il kitsch (oggi si direbbe con la cultura pop). Busi, pur costretto nelle rigide griglie dell’«impaginazione», riusciva invece a trasfigurare con inconfondibile stile la massa disordinata di tutto ciò che faceva notizia: la visita a Francesca Dellera, il meeting di Comunione e Liberazione, il festival di Sanremo, il premio Campiello a Venezia, un incontro parigino con Marcello Mastroianni... Il libro ha avuto altre edizioni, rivedute e corrette, ma questa che esce presso l’Editoriale il Fatto ha qualcosa di più, qualcosa di decisivo: non contiene i meri reportage e le interviste così come apparvero sui giornali. Il libro è stato riscritto e integrato con tutti gli appunti e le note che non avevano trovato spazio nella lezione originale: «Episodi trovati abbozzati in certi miei quaderni saltati fuori da un baule durante un piccolo trasloco di mobili dalla casa di mia madre deceduta e in origine tralasciati per mancanza di spazio nelle varie riviste che mi commissionarono i reportage e in seguito per pigrizia allorché furono presi di peso da una parte e pubblicati in volume dall’altra». Un testo irrequieto, dunque, incontentabile secondo una nobile tradizione di opere riviste dall’autore anche a distanza di anni: dal Canzoniere di Petrarca ai Promessi sposi di Alessandro Manzoni sino a Fratelli d’Italia di Alberto Arbasino. Aldo Busi cronista, Aldo Busi sul pezzo, Aldo Busi a caccia di notizie. Ma la notizia è sempre e solo una: Aldo Busi che scrive su..., come succede nelle grandi riviste culturali di altri Paesi più fortunati del nostro. Per questo, il libro si ripropone sempre come nuovo. La Dellera è sparita, Dario Bellezza nessuno sa più chi sia, Marta Marzotto non smania più per essere in prima fila all’Ariston... Che importa? Le pagine sono ancora vivide, più belle che mai. Non sono pagine da «legge Bacchelli» («Io a Bacchelli, che fu il primo a ricevere questa pensione di Stato, gli avrei dato due stangate, come a tutti i vecchi che da giovani hanno dilapidato ai quattro venti in abiti e scarpe su misura e poi da vecchi piangono miseria e invocano lo Stato... Gli scrittori veri non sono mai vecchi». E siccome Busi è uno scrittore vero, è facile emozionarsi ancora rileggendo l’incontro casuale con Mastroianni: «Come sta?... “Da cani” mi dice aprendosi in un sorriso che cancella ogni spavento; si slaccia collerico il bottone centrale della giacca, “tutta colpa della papaya! La papaya!”, urla, e con la destra si batte all’altezza della cintura, strabuzzo gli occhi e, apriti cielo, Marcello Mastroianni in panciera sopra la camicia e i pantaloni, una specie di fascia elastica da smoking ospedaliero tutta raggrinzita, color topo...». Marcello racconta i suoi guai fisici, gli interventi di un chirurgo che gli ha iniettato «miracolistiche» iniezioni di papaya per guarirlo di ernia al disco (e si sono rivelate una bufala), la consolazione della grappa. Pochi tocchi, un perfetto amalgama di cronaca e affabulazione, e Mastroianni si concretizza in un ritratto da esule che raramente il cinema ha saputo donargli. Ci sono due capitoli che ho letto e riletto con immenso piacere. Il primo è quello con Franca Valeri. La signorina Snob parla di un suo grande e unico amore, Maurizio Rinaldi, musicista. Busi si scusa: «Mai sentito nominare…». E lei (imperterrita): «...un genio al quale piacevano molto le donne, tutte le donne. E del resto, scusi, sa ma a me che importava di essere amata o no? Sapevo l’età che avevo io e quella che aveva lui, i rischi cui andavo incontro. L’importante è amare, fare la propria parte fino in fondo (fino all’ultima goccia di fiele? penso io)...». L’incontro è un omaggio alla strepitosa intelligenza, all’ironia acuminata, alla grande sapienza che la Valeri ha sempre profuso: una voce salutare, grazie anche alle sue parole, appena mascherate da un sorriso d’intesa. Il secondo è quello su Carmelo Bene. Verrebbe da dire, finalmente; se Bene è ritenuto un genio, che colpa ne abbiamo noi! Scrive Busi: «Dio, come odio la gnosi, il neoplatonismo, la cialtronaggine dei guru specie se di origine terronica migratoria a Parigi! Capirai che sforzo, farcela a Parigi, quando da trent’anni sarebbe il momento di mettersi alla prova a New York-New York!». Ciò che rende la vita intellettuale tollerabile è l’idea che si possa uscirne. Ciò che rende un libro singolare e profondo è la sua scrittura, come se al fondo di ogni cronaca, di ogni incontro ci fosse un enigma che ama nascondersi, tra gravità e ironia. Così è per Sentire le donne . Per fortuna a Busi non interessa una ricerca del senso e non si è mai servito della letteratura per conquistare una posizione sociale. Lui direbbe: è la letteratura che si è servita di me.