Alberto Arbasino, la Repubblica 3/6/2014, 3 giugno 2014
I BESTSELLER E LE SCATOLETTE DI PESCE
Col titolo «Le classifiche dei libri discriminano la qualità», Paolo Di Stefano sul Corriere della Sera ripropone un’ovvietà lampante e deprimente. La massaia di massa bada soltanto ai più venduti best seller. Li trova impilati ad ogni outlet di mercato, e funzionano come traino alle presenze televisive che si basano sull’audience. La stessa situazione d’ogni scatoletta di pesce in qualunque supermarket. Quale critico dei «più venduti» se la sentirebbe di biasimare una confezione o un contenuto, se sono identici? Tutte diverse le classifiche dei vini, che prevalgono per fragranza e freschezza, e gusto fruttato armonico, o aroma suadente, o spuma eventualmente cremosa, però con carattere originale di prima qualità, simbolo d’eccellenza in tutto il mondo creato, “premium” con anche un’infinità di retrogusti!... Nel caso dei caffè o della pasta, si chiede poi Di Stefano, certamente gli interessi commerciali sono più vasti. Ma i vantaggi più ristretti degli editori nazionali si possono limitare alla classifica dei best seller? E lì fermarsi, dal momento che i visitatori dei Saloni sono molti, però si mostrano pochi quelli che davvero comprano? E insistendo ancora sui paragoni fra le diverse liste, in che locale anche non di lusso un cameriere si permetterebbe di proporre il vino più nazionalpopolare e diffuso, non «una nostra specialità»? O i piatti più comuni, ordinari, consueti, soliti (a meno che non ci si trovi in una pizzeria con decine di “formule”)? Altro che ampi ventagli di degustazioni eccellenti… Lusso? Ma in che senso?