varie, 3 giugno 2014
FISCO E TASSE PER GAZZETTA
Nel 2013 la pressione fiscale in Italia si è attestata al 44,3% del Pil. Dai dati dell’Istat emerge come il prelievo sotto forma di imposte e contributi previdenziali sia aumentato di circa 1,6 miliardi di euro rispetto al 2012. Parimenti, nello stesso arco di tempo, il Pil nominale ha subito una flessione di oltre 8,7 miliardi di euro. Ne consegue che il rapporto aritmetico che esprime la pressione fiscale è salito nel 2013 al 44,3%, vale a dire tre decimi di punto in più rispetto al livello del 44% circa raggiunto nel 2012. Nel 2013 per ogni euro prodotto in Italia la frazione di imposte, tasse e contributi pagata su quell’euro è cresciuta di altri 3,5 decimi di punto percentuale assoluto, aggiornando il record assoluto della pressione fiscale apparente nella storia d’Italia già raggiunto nel corso del 2012.
Stando all’analisi dell’Ufficio Studi Confcommercio sull’evoluzione del carico fiscale in Italia, anche nel 2014 la riduzione della pressione fiscale è soltanto illusoria (le previsioni Governative parlano di centesimi di punto percentuale) e il livello si manterrà sopra il 44,2%. [AdnKronos 7/2/2014]
La nostra spesa pubblica, in rapporto al Pil, è superiore a quella media dei paesi europei ed extraeuropei dal 1987, fatto che ha determinato un aumento della pressione fiscale superiore a quella della media europea e dell’area euro. Nel 2005 la pressione fiscale era di 0,2 punti inferiore alla media dell’area euro e nel 2008 è diventata invece di 2,1 punti superiore alla media dell’area euro. In valori assoluti, il Pil risulta a questo punto arretrato ai livelli di 14 anni fa: il valore concatenato nel primo trimestre 2014 è di 340.591 miliardi di euro e, secondo le serie storiche dell’Istat, per trovare un dato inferiore, pari a 338.362 miliardi, bisogna risalire al primo trimestre del 2000. Però a quella data il trend dell’economia italiana, a differenza di oggi, era in crescita. [La Gazzetta dello Sport 16/5/2014]
L’Italia rimane nel gruppo di testa nella classifica dei Paesi con il maggior prelievo fiscale (e contributivo) sul lavoro. Secondo il rapporto Ocse diffuso ad aprile 2014 (Taxing Wages 2014), la tassazione complessiva per un single senza figli con una retribuzione media è stata l’anno scorso del 47,8%, con un aumento di 0,1 punti rispetto al 2012. L’Italia si colloca quindi al sesto posto (posizione invariata rispetto all’anno precedente), alle spalle di Belgio (55,8%), Germania (49,3%), Austria (49,1%), Ungheria (49%) e Francia (48,9%) e davanti – con distacco – alla Finlandia (43,1%). È però l’unica tra le prime, insieme all’Austria (+0,3%) ad aver registrato un incremento. Stando però ai calcoli del Centro studi Confindustria, Roma sarebbe in realtà al secondo posto (dopo il Belgio). Nel suo lavoro, l’Ocse non prende infatti in considerazione la quota dell’Irap che pesa appunto sul costo del lavoro. Il prelievo è peraltro cresciuto in 21 dei 34 Paesi membri dell’organizzazione parigina, mentre è diminuito in 12 ed è rimasto invariato in uno (il Cile). Il dato medio Ocse è del 35,9%, con un aumento di 0,2 punti. [Marco Moussanet, Il Sole 24 Ore 12/4/2014]
Il Pil italiano 2013, ovvero l’ammontare dei beni e servizi prodotti è stato 1.560 miliardi. Rispetto al 2012, dice l’Istat, è lo 0,4% in meno in termini nominali e l’1,9% in meno in termini di volume, adeguato all’aggiornamento dei prezzi. Il calo del Pil, che è sceso sotto i livelli registrati nel 2000, ha accentuato il peso del debito che lo scorso anno ha fatto registrare un rapporto record del 132,6% contro il 127% del 2012. [Stefania Tamburello, Corriere della Sera 4/3/2014]
Cuneo fiscale. Si definisce cuneo fiscale la somma delle imposte (dirette, indirette o sotto forma di contributi previdenziali) che pesano sul costo del lavoro, sia per quanto riguarda i datori di lavoro, sia per quanto riguarda i dipendenti (e i liberi professionisti). Detto ancora più semplice: il cuneo fiscale è la differenza tra quanto un dipendente costa all’azienda e quanto lo stesso dipendente incassa, netto, in busta paga. In Italia questa differenza è molto alta. Per comprendere l’entità del cuneo fiscale e costo del lavoro in Italia si può fare riferimento a due diversi studi: quello dell’Istat (l’Istituto nazionale di Statistica) o quello dell’Ocse (l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico). L’ultima statistica dell’Istat è stata pubblicata lo scorso 27 settembre e fa riferimento al 2010. Risulta che il cuneo fiscale in Italia sia pari, in media, al 46,2 per cento del costo del lavoro. Il peso maggiore è per i datori di lavoro (25,6 per cento) e il restante 20,6 per cento dei contributi è invece a carico del lavoratore. Per capirci: significa che per ogni 100 euro pagati dall’azienda, la redistribuzione netta in busta paga del dipendente è 53,8 euro. Secondo l’Istat, inoltre, il cuneo più alto è nel nord-ovest d’Italia con il 47 per cento, mentre al sud e nelle isole si ferma al 44,4 per cento: questa differenza dipende dalle imposte regionali. Ci sono anche differenze di genere: tra le dipendenti donne il costo del lavoro è mediamente il 74 per cento di quello dei dipendenti uomini e la retribuzione netta è il 76 per cento di quella maschile.
Il rapporto dell’Ocse inserisce nei calcoli anche Irap (imposta regionale sulle attività produttive), Tfr (liquidazione o trattamento di fine rapporto) e Inail (assicurazione contro gli infortuni sul lavoro). Secondo l’Ocse, che ha dati più aggiornati, il cuneo fiscale italiano nel 2012 è stato pari al 47,6 per cento. Per ogni 100 euro di stipendio lordo, un’impresa o un datore di lavoro versa 32 euro allo stato (il 24,3 per cento del totale), mentre il dipendente contribuisce con il 23,3 per cento (31 euro). Questo significa che per ogni 132 euro spesi dall’azienda la redistribuzione netta in busta paga del dipendente è 69 euro. Nel rapporto dell’Ocse l’Italia si trova al sesto posto nella classifica dei paesi europei per maggiore costo del lavoro, con 12 punti in più rispetto alla media generale. Ma l’Italia ha una delle tassazioni sul reddito più alte in assoluto: solo Belgio, Finlandia e Danimarca ce l’hanno più alta, ma con ben altri servizi (e a volte non prevedono tasse a carico dell’imprenditore, come la Danimarca). Sempre secondo l’OCSE, negli ultimi 10 anni (2002–2012) il cuneo fiscale italiano è aumentato dell’1 per cento mentre negli altri paesi, nello stesso periodo di tempo, c’è stata una riduzione generale dello 0,9 per cento.
Secondo l’Agenzia delle entrate l’evasione fiscale nazionale è in media di 90 miliardi di euro l’anno (con un record di oltre 100 miliardi nel 2004 ed un minimo di 83 miliardi nel 2007), e la presa non può essere mollata. Nel 2013 sono stati recuperati grazie ai controlli 13,1 miliardi di euro, dei quali 9,3 direttamente dall’Agenzia e il resto attraverso Equitalia. E questo nonostante la riduzione del numero dei controlli, delle verifiche e degli accertamenti. «Per ogni 100 euro di gettito incassato l’Agenzia costa 85 centesimi di euro, con una redditività di 3,82 euro incassati per conto dello Stato ogni euro speso per il funzionamento della macchina», ha detto il direttore dell’Agenzia Attilio Befera nell’aprile 2014 alla Commissione Finanze del Senato. [Mario Sensini, Corriere della Sera 3/4/2014]
Sempre ad aprile 2014, l’Agenzia delle Entrate ha fatto sapere che la famosa «operazione Cortina» (quando gli ispettori dell’Agenzia, insieme alla Guardia di Finanza, invasero per 24 ore la stazione alpina, era Capodanno del 2011, a caccia di scontrini fiscali e macchine di lusso) ha portato al recupero di 2 milioni di euro, tra imposte dovute e sanzioni, senza fare neanche troppa fatica. «Dei 173 accertamenti fatti in quell’occasione, 142 sono stati già definiti e incassati» ha detto il direttore dell’Agenzia, Attilio Befera, alla Commissione Finanze del Senato, con il recupero di 1,2 milioni di imposte dirette, tra Ires e Irap, 224 mila euro di Iva, e il pagamento di 675 mila euro di sanzioni. [Mario Sensini, Corriere della Sera 3/4/2014]
Nel 2013 la Guardia di Finanza ha sequestrato al confine con la Svizzera 298,3 milioni di euro in valuta e titoli, il 140,4% in più dei 12 mesi precedenti. Il 90% della valuta intercettata rientrava in Italia. A riportare a casa i soldi, 8 su 10 erano italiani, gli altri cinesi.
Stefano Livadiotti: «L’Italia conta l’uno per cento della popolazione mondiale, ma realizza il 3 per cento del prodotto interno lordo e detiene il 5,7 per cento della ricchezza del pianeta. Ma nelle loro dichiarazioni dei redditi gli italiani appaiono come un esercito di straccioni, tutti con il Suv miracolosamente vinto alla lotteria del paesello: su 41.320.548 di contribuenti (anno d’imposta 2011) solo lo 0,1 per cento, cioè uno ogni mille, denuncia più di 300 mila euro. Il 62,89 per cento sta sotto i 26 mila. E il 27 per cento, tra detrazioni e deduzioni, non paga nulla. In compenso, abbiamo il salvadanaio che scoppia. In Italia il rapporto tra ricchezza e reddito dichiarato è 8 a uno. Negli Usa è 5,3 a uno. Qualcosa non quadra.
Quel qualcosa si chiama evasione fiscale e rappresenta il vero cancro dell’economia italiana. In Italia un dato ufficiale sull’evasione neanche esiste. Ma secondo il britannico Richard Murphy, fondatore di Tax Justice Network e inserito da “International Tax Review” nell’elenco delle 50 persone più influenti al mondo in materia di fisco, i soldi sottratti ogni anno alle casse dello Stato sono 180,2 miliardi di euro. Una cifra al cui confronto il paio di miliardi necessari a far saltare l’Imu sulla casa, dei quali si è ossessivamente parlato per un anno, sono bruscolini. Ma in Italia la lotta all’evasione è solo una farsa. Basta pensare che su quasi 5 milioni di contribuenti sospetti i controlli veri sono appena 200 mila, come ha rilevato la Corte dei Conti. Che i pochi colti con le mani nel sacco possono contare sul vantaggio di una giustizia tributaria ridotta a un colabrodo, dove per il primo grado di giudizio occorrono 903 giorni. Che anche chi viene riconosciuto colpevole alla fine la fa franca: solo l’1,7 per cento delle denunce per reati tributari porta a un arresto. Il risultato è che il fisco si è visto sottrarre in 12 anni 808 miliardi e di questi ne ha recuperati la miseria di 69. [Stefano Livadiotti, l’Espresso 7/2/2014]
La maggior parte del sommerso arriva dai lavoratori autonomi, tra i quali il tasso di evasione è pari al 56,3 per cento. Per lavoratori dipendenti e pensionati evadere è pressoché impossibile: le tasse vengono prelevate direttamente in busta casa e dunque non riescono a frodare il Fisco (e infatti l’82% del gettito complessivo arriva proprio da loro). Infine una cifra piuttosto significativa, che dimostra l’alto livello di tolleranza della politica nei confronti di chi cerca di dribblare le regole imposte dall’Erario: in 34 anni, tra il 1970 e il 2004, sono stati approvati 32 condoni.
Un esempio per tutti è la normativa sulla soglia all’utilizzo del denaro contante, un aspetto decisivo dal momento che il sommerso vive di nero e il nero si nutre di cash. Nel 2007, un anno dopo aver vinto le elezioni, Prodi ha abbassato il tetto da 12.500 a 5mila euro. E stabilito, con il decreto Bersani-Visco, un décalage: la soglia sarebbe dovuta scendere a mille euro nel luglio 2007, a 500 un anno dopo e nell’estate 2009 addirittura a 100 euro per i professionisti (come in Germania avviene già oggi). Il piano è però rimasto sulla carta. A palazzo Chigi è arrivato Berlusconi e il suo superministro per l’Economia Giulio Tremonti nel giugno 2008 ha ripristinato il limite dei 12.500 euro, salvo poi riportarlo a 5mila euro nel maggio del 2010 e poi a 2.500 nell’agosto del 2011.. Quindi il Cavaliere ha dovuto passare la mano a Mario Monti, che nel dicembre 2011 ha stabilito l’attuale quota di mille euro. [Stefano Livadiotti, l’Espresso 7/2/2014]