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 2014  giugno 02 Lunedì calendario

L’UE NON ABBOCCA AL RENZISMO ECCO LE (VERE) RIFORME DA FARE


Sta accadendo qualcosa di paradossale. I giornaloni, proprio mentre si esercitano in una gara di prosternazione a Renzi, ospitano in prima pagina- incipriati con titoli delicati contenuti demolitivi del peronismo fiorentino. Sia Luca Ricolfi su La Stampa sia Lucrezia Reichlin sul Corriere della Sera , addirittura negli editoriali, mostrano che le riforme di Renzi non esistono, sono vuote, annunci senza forza, contengono coriandoli. Angelo Panebianco a sua volta spiega che gli 80 euro saranno sbranati dalla Tasi. Rivela una verità che ci è ben nota. Lo spread italiano, che è tornato a essere voce dei mercati dopo il grande imbroglio speculativo del 2011, è peggiore di quello di altri Paesi in precedenza messi sotto scacco dalla speculazione. Sono cose che diciamo da mesi. Repubblica , da par suo, cerca invece di truccare la realtà. Anticipa quel che l’Europa dirà del governo Renzi, ma fa capire che sarà una glorificazione. Balle. L’Europa imporrà a Renzi-Padoan una manovra. L’Europa non vede la broda peronista.
«Sulla scheda uscita dall’urna c’è scritto: fate le riforme»: così Giorgio Squinzi nel suo discorso di apertura all’assemblea pubblica di Confindustria, giovedì 29 maggio. Solo un giorno prima, il 28 maggio, l’Istat aveva pubblicato il «Rapporto annuale 2014» sulla situazione economica dell’Italia, da cui è emerso che il nostro paese è quello che più di tutti gli altri Stati dell’Unione europea ha adottato le misure di rigore e austerità imposte dall’Europa a trazione tedesca, ma anche quello che più ne ha subìto le conseguenze negative, specie in termini di crescita economica, con effetti restrittivi sul Pil di oltre 5 punti, pari a 78 miliardi di euro, tra il 2008 e il 2012. E solo un giorno dopo, il 30 maggio, si è tenuta l’Assemblea ordinaria dei partecipanti al capitale della Banca d’Italia, con le tradizionali considerazioni finali del governatore, Ignazio Visco, che, con l’autorevolezza che lo caratterizza, ha ripetuto al governo la stessa esortazione del presidente Squinzi: bisogna modernizzare il paese.
Ma l’agenda degli incontri annuali delle associazioni di categoria, e degli organismi di previsione, nonché delle istituzioni europee, in questo mese appena iniziato, è ancora fitta. Sul fronte delle istituzioni europee, il primo appuntamento è proprio oggi, con le « Country specific recommendations» della Commissione europea sull’Italia, che contengono le prime valutazioni dell’Ue sul Documento di economia e finanza (Def) e sul Piano nazionale delle riforme (Pnr) approvato dal Consiglio dei ministri lo scorso 8 aprile. Valutazioni che saranno poi discusse dai capi di Stato e di governo in occasione della prossima riunione del Consiglio europeo a Bruxelles il 26 e il 27 giugno. Il tutto passando per un altro appuntamento di rilievo: la riunione mensile del Consiglio direttivo della Banca centrale europea il 5 giugno.
Un breve passo indietro sul Def: da una lettura attenta degli indicatori di finanza pubblica e delle prospettive macroeconomiche erano emerse, già ad aprile, realtà sconfortanti: l’Italia supera i parametri previsti dalla Commissione europea in termini di deficit strutturale. E questo non solo per il 2014 (-0,6%, raddoppiato rispetto al- 0,3% contenuto nella nota di aggiornamento al Def 2013 dello scorso settembre), ma anche per il 2015. Con l’aggravante che il numeretto inserito per il prossimo anno (-0,1%) è in netto contrasto con le corrispondenti stime della Commissione europea (-0,8%).
Ma non finisce qui: dai numeri del Def era emerso già ad aprile anche il rinvio di fatto del pareggio di bilancio dal 2015 al 2016 che può essere consentito solo se lo scostamento dall’obiettivo di bilancio è temporaneo; dovuto ad eventi eccezionali; ben argomentato e accompagnato da un dettagliato piano di rientro. Il tutto previo parere della Commissione europea. Ne seguì una lettera con cui il governo italiano comunicava alla Commissione il rinvio del pareggio di bilancio dal 2015 al 2016. E la risposta pilatesca, oltre che comprensibilmente imbarazzata, della Commissione europea, che rinviava al 2 giugno ogni valutazione. Oggi leggeremo il dossier della Commissione europea, ma dobbiamo trovarci preparati. I piani di azione sono due: uno europeo e uno italiano. E in entrambi i casi la parola chiave è vero riformismo. Se vogliamo evitare una manovra correttiva.
Sul piano europeo, numerosi sono dunque gli elementi che favoriscono un «patto italiano» per l’Europa, una sorta di accordo istituzionale, perché l’Italia conta più di ciascun singolo partito: il nostro è il capo di governo più votato in Ue; ma il nostro è anche il Paese che manda al Parlamento europeo il più alto numero di anti-euro; il Pd è il primo gruppo nazionale nel Pse; Forza Italia ha un gruppo europeo certamente indebolito, ma pur sempre decisivo per la maggioranza Ppe, magari assieme ai popolari spagnoli.
Schieriamo in modo chiaro e netto l’Italia tra i paesi che, in modo realistico e pragmatico, intendono promuovere un salto di qualità in senso federalista del processo di integrazione politica europea. Attraverso l’unione bancaria, nelle sue quattro componenti: un fondo comune di garanzia sui depositi; un sistema unico di sorveglianza sugli istituti di credito affidato alla Bce; una regolamentazione comune per i fallimenti bancari; l’istituzione di un’agenzia europea di rating del credito. L’unione economica, attraverso l’attivazione immediata di Project bond, Eurobond e Stability bond. L’unione fiscale, che preveda controlli uniformi delle politiche di bilancio dei singoli Stati e l’armonizzazione delle politiche economiche. L’unione politica, con il relativo rafforzamento del quadro istituzionale attuale e l’elezione diretta del presidente della Commissione europea. A tutto ciò si aggiunga: l’attribuzione alla Banca Centrale Europea del ruolo di prestatore di ultima istanza. Perché l’Europa ha bisogno di una Banca centrale, con poteri analoghi a quelli della Federal Reserve e delle altre principali banche centrali mondiali. La revisione dei Trattati e dei Regolamenti ( Fiscal Compact , Six Pack e Two Pack ) sottoscritti con la pressione politico- psicologica della crisi. E, infine, la richiesta all’Europa di riattribuire all’Italia le risorse che ogni anno vengono versate in più rispetto a quelle che ci vengono assegnate attraverso i fondi strutturali. Ne deriva un secondo sforzo: cambiare l’Italia in Europa. La chiave non è poi così difficile da ricercare. Sono le 6 raccomandazioni che ci ha fatto la Commissione europea quando è stata chiusa la procedura di infrazione per deficit eccessivo lo scorso giugno (portare a termine la riforma della PA; migliorare dell’efficienza del sistema bancario; riforma del mercato del lavoro; riduzione della pressione fiscale; liberalizzazione delle public utilities; sostenibilità dei conti pubblici). Così facendo, potremo negoziare con la Commissione europea le risorse necessarie per l’avvio di riforme volte a favorire la competitività del «sistema Italia», che aumentino la produttività del lavoro e di tutti i fattori produttivi, e che contemplino la riduzione della spesa pubblica e la riduzione della pressione fiscale.
L’Italia ha il dovere di farlo, tutta unita. E se sarà interlocutore forte, serio e credibile, e nella definizione di «contratti bilaterali» con la Commissione presenterà programmi chiari, articolati e definiti nei costi e nei tempi, riuscirà a fare le riforme senza venir meno al rigore e alla sostenibilità dei conti pubblici: quello che i mercati vogliono. Il paese tornerà, pertanto, a crescere, con regole nuove, moderne, competitive. Un vero rinnovamento. Un vero cambiamento. Un vero miglioramento. In poche parole: una rivoluzione. E al presidente del Consiglio diciamo: qui si parrà la tua nobilitate. Noi non ti faremo nessuno sconto. Noi non avremo alcun pregiudizio. E tu?