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 2014  giugno 02 Lunedì calendario

COSÌ IL CARBONE SARDO SCALDERÀ PER VENT’ANNI LE NOSTRE BOLLETTE


In Aria fritta, formidabile e provocatorio saggio del 1955, Ernesto Rossi fotografava così la situazione economica delle miniere di carbone in Sardegna: «Rapportando le perdite al numero dei dipendenti si può dire che la Carbosarda avrebbe conseguito i medesimi risultati finanziari se avesse potuto tener chiuse, senza spesa, le miniere, e avesse pagato 40 mila lire al mese a ognuno dei suoi dipendenti, purché tutti rimanessero a casa, a coltivare i loro orticelli».
Aggiungeva, il fondatore del Mondo , che da quando Benito Mussolini nel 1933 si era messo in testa di infilare il Paese nell’avventura del carbone sardo, erano stati fatti investimenti per circa 100 miliardi di lire. Ovvero, oltre un miliardo e mezzo di euro attuali.
All’epoca della pubblicazione di Aria fritta i dipendenti del polo carbonifero sardo erano circa 11 mila e le 40 mila lire al mese di allora equivalgono a circa 700 euro di oggi. Nel 2012 di quei lavoratori ne erano rimasti meno di un ventesimo. Per l’esattezza 444, di cui 280 minatori. E siccome la Carbosulcis, ha chiuso il bilancio con una perdita di 42,2 milioni di euro si potrebbe arrivare alla conclusione che la società erede della Carbosarda interamente controllata dalla Regione Sardegna avrebbe conseguito il medesimo risultato versando direttamente a ogni dipendente 7.300 euro al mese per tredici mensilità senza far lavorare nessuno. Dieci volte quanto era stato calcolato sessant’anni fa da Ernesto Rossi. Una somma, per giunta, ben superiore allo stipendio medio di ogni lavoratore: costato all’azienda nel 2012, oneri previdenziali e tfr compreso, 4.116 euro al mese per tredici.
Sia ben chiaro: non si può non essere estremamente sensibili al destino di quelle 444 famiglie. Tanto più considerando le condizioni economiche in cui versa oggi la Sardegna, nel colpevole disinteresse generale della nostra classe dirigente. Ma proprio per questo non ci si può voltare dall’altra parte. Che cos’è la Carbosulcis? Davvero una società per azioni, come dice il suo statuto? Qualche dubbio a leggere il bilancio potrebbe venire, scoprendo per esempio una voce assolutamente singolare nello stato patrimoniale. Ossia, un accantonamento di 145 milioni 603.586 euro per, testuale, «copertura perdite future». Certificazione che il destino inesorabile dei conti è il rosso fisso.
E anziché prendere atto che il carbone sardo è un salasso da sempre insostenibile e studiare una soluzione seria per rilanciare lo sviluppo vero di quell’area, che si è pensato di fare? Nell’ultima legge targata governo Letta, la cosiddetta «Destinazione Italia» approvata tre mesi fa, è comparso un articolo che prevede 60 milioni l’anno di incentivi per la realizzazione di impianti a carbone pulito da alimentare con il fossile estratto nel Sulcis. Un progetto che assicurano tecnologicamente avanzatissimo. Peccato che costerà agli italiani, nei prossimi 20 anni, un miliardo e duecento milioni. Cifra caricata sulle bollette della luce.
Fra perdite e sussidi il costo del polo carbonifero sardo, con i suoi 444 dipendenti, si avvia dunque a toccare quota cento milioni l’anno. E senza particolari garanzie per il futuro, con buona pace dei politici regionali e nazionali. Ai quali ci permettiamo di suggerire un viaggio a Lens, il Sulcis francese a pochi chilometri dal confine con il Belgio, per avere un’idea di che cosa sia in grado di fare, con cifre molto inferiori, un’amministrazione capace e lungimirante. Invece di ostinarsi a far sopravvivere le miniere con massicce iniezioni di denaro pubblico, lì è stato costruito in pochi anni un grande museo: il Louvre 2. Costato 150 milioni, ha aperto nel 2012. Nel primo anno ha avuto quasi un milione di visitatori. Così la città è rinata: non più carbone, ma tesori d’arte e storia e tanto turismo. Alberghi, bar, ristoranti, bed & breakfast... E senza neppure avere le meraviglie della nostra Sardegna. Ma ci pensate?