Renato Franco, Corriere della Sera 3/6/2014, 3 giugno 2014
LA SERIE TV SULL’AMORE TRA DETENUTE NUOVA FRONTIERA PER I DIRITTI CIVILI
L’evolversi della moda: l’arancione è il nuovo nero, a indicare quale colore farà tendenza. L’aperitivo però si prende nell’ora d’aria, dressing code in stile Guantanamo. Gli unici con la facoltà di uscire quando vogliono sono gli spettatori, prigionieri senza sbarre.
Benvenuti nel carcere femminile di Litchfield dove si svolge Orange is the new black , un Grande Fratello carcerario al femminile che intreccia piccoli grandi amori & livori tra donne. Un serial che da fenomeno televisivo è presto diventato fenomeno sociale: per i temi trattati Orange is the new black è un riferimento per la comunità omosessuale. Così la trans Laverne Cox — per la prima volta una transgender (vera) è nel cast protagonista di una serie — ha conquistato la copertina di Time , indicata come simbolo della «nuova frontiera per i diritti civili in America». «Mi sono sentita una donna per la prima volta in terza elementare. La maestra all’epoca disse a mia madre: ‘Signora, suo figlio finirà a New Orleans vestito da donna’ — ha spiegato Laverne Cox —. I tempi sono cambiati. Oggi rispetto a quando sono cresciuta io, puoi sentirti meno solo grazie a Internet. E penso che anche sui media le giovani trans possano trovare più modelli a cui accostarsi rispetto al passato». Poche parole che l’hanno fatta diventare un’icona del mondo Lgtb. Come altre protagoniste della serie, a partire dalle due interpreti principali, la bionda Taylor Schilling e la bruna Laura Prepon, che se usasse ancora appendersi i poster in camera, sarebbero nelle stanze di molte telespettatrici. Ad alimentarne ancora di più la popolarità della serie tv è stata anche la recente rivelazione di una delle autrici, Lauren Morelli, che ha raccontato di aver scoperto di essere gay proprio scrivendo la sceneggiatura di Orange is the new black . Ha vissuto 30 anni da eterosessuale, si è pure sposata e poi? «Cinque mesi dopo il mio matrimonio — ha scritto lei stessa sul sito PolicyMic — sono andata a New York per la produzione del mio primo episodio di Orange , e da quel momento la mia vita ha preso un ritmo parallelo con la storia di Piper in un modo che è diventato da interessante a terrificante nel giro di pochi mesi». La scrittura come analisi di gruppo: «Era il mio primo lavoro e ho subito scoperto che la stanza degli scrittori era un luogo straordinariamente intimo: condividevamo dettagli sui nostri rapporti personali o sulla nostra infanzia, segreti di cui, in altre situazioni, ci saremmo vergognati, ma quello era il materiale che avrebbe arricchito il telefilm». Così l’epifania: «Attraverso Piper e Alex, le due protagoniste, avevo dato voce ai miei desideri e avevo immaginato come sarebbe potuto essere il mio futuro».
La serie arriva da settembre su Mya, il canale pay di Mediaset Premium, con l’inconsueta formula delle due stagioni una dopo l’altra (mentre dal 5 giugno Orange sarà già disponibile sul portale Infinity). Racconta le vicende di Piper Chapman (l’attrice 29enne Taylor Schilling), condannata a scontare 15 mesi di prigione per aver trasportato una valigia piena di soldi per conto di Alex Vause (la 34enne Laura Prepon), una trafficante di droga internazionale un tempo sua amante. Guarda caso quest’ultima finisce nello stesso carcere di Piper... «La serie indaga sull’autodistruzione e sulla brutalità che si annida anche nell’animo femminile — ha spiegato l’ideatrice Jenji Kohan —, la prigione è solo un megafono di questo aspetto».
È uno dei titoli seriali di cui la stampa americana si è occupata maggiormente nell’ultima stagione, sia per i temi affrontati sia per la qualità di messa in scena. Ma anche perché è un prodotto firmato dalla piattaforma di web streaming Netflix — la stessa di House of Cards — che ha aperto nuove strade sia nei contenuti sia nella loro fruizione.
E non è la prima volta che una serie si rinchiude in carcere. È successo con due telefilm dai toni molto crudi come Oz (penitenziario maschile) e Capadocia (declinazione femminile), ma qui la cifra è diversa, a metà strada tra la black comedy e il dramma. Anche perché poi, sbarre o non sbarre, l’essenza della vita non è nel raggiungimento della meta ma nella qualità del percorso.