Alessandro Oliva, Linkiesta 1/6/2014, 1 giugno 2014
E LE NAZIONALI DI CALCIO DIVENTANO POTENZE ECONOMICHE
Alla faccia della crisi, il giro d’affari attorno al pallone quest’anno sarà sempre più ricco. E non solo grazie ai soldi che girano attorno alla Champions League, tra diritti tv e premi partita. Il 2014 vedrà diventare più ricche anche le nazionali di calcio che affrontano il Mondiale brasiliano. L’evento più importante tra i tornei calcistici segna un momento importante a livello economico: tra diritti tv, guerre di sponsor e premi di partecipazione, le squadre di calcio nazionali stanno diventando, sotto il profilo degli introiti, proprio come quelle di club. E che il il valore del loro brand gareggia tranquillamente con quello di giganti come Real Madrid e Bayern Monaco.
Che le selezioni nazionali abbiano sempre più peso economico, lo dice prima di tutto la tabella dei premi che riceveranno per la partecipazione al Mondiale in Brasile. Ogni rappresentativa percepirà 1,5 milioni di dollari, per il solo fatto di essersi qualificati al torneo di calcio più importante di tutti. Ogni squadra giocherà poi almeno tre partite nel girone di qualificazione. Per queste, le federazioni intascheranno 8 milioni di dollari: 2,6 milioni a partita. Il rapporto tra partite e premi incassati funziona come nelle coppe europee: più vai avanti, più guadagni. Ecco allora che in caso di qualificazione agli ottavi, le 16 squadre (sia le 8 che passeranno, sia le altre 8 che dovranno lasciare il Brasile) si vedranno consegnare un assegno da 9 milioni di dollari. Che diventano 14 milioni in caso di accesso ai quarti. Per le 4 squadre rimaste a giocarsi la coppa, il piatto si fa ricco, ricchissimo. Chi resta fuori dal podio torna in Patria con 18 milioni di dollari, mentre al 3° classificato ne andranno 20. Il nazionale perdente si metterà in tasca 25 milioni di dollari, mentre la federazione campione del mondo a Brasile 2014 sarà più ricca di 35 milioni.
La tabella dei premi del Mondiale dice, quindi, qualcosa d’altro. Cioè che le nazionali di calcio stanno raggiungendo, per potenza economica, molti grandi club. Oltre al dettaglio dei premi per partita, un dato parla chiaro: se ai precedenti Mondiali di Sudafrica 2010 il montepremi totale distribuito è stato di 420 milioni di dollari, nell’edizione brasiliana si sale a 576 milioni di euro, con un aumento del 33%. Tutti soldi che arrivano dalla Fifa, sempre più ricca grazie all’organizzazione di grandi eventi come la Coppa del Mondo. Il fattore Brasile 2014 ha inciso in maniera più che positiva sui conti del Governo mondiale del calcio. A fronte di una spesa complessiva di 1 miliardo di dollari per dare alla patria del futbol l’organizzazione del Mondiale, la Fifa può contare su un altrettanto miliardo di introiti, il 92% dei quali, tra diritti tv e merchandising, arrivano dalla Coppa. Un fiume di soldi che le 32 nazionali si intascheranno e che, quando si tratterà di rileggere il capo della Fifa, potrebbero tramutarsi in voti preziosissimi per Sepp Blatter.
E mentre il caro vecchio capo svizzero della Fifa fa i propri conti su un piano puramente geopolitico, anche i grandi broadcaster sono disposti a staccare corposi assegni per le nazionali. Secondo la società di consulenza Deloitte, nel 2014 il mercato dei diritti sportivi globali sfonderà il tetto dei 16 miliardi di dollari complessivi d’investimento. Buona parte di questo boom è certamente legato all’interesse sempre maggiore destato dagli eventi calcistici: il 75% degli investimenti riguarderà i 10 tornei sportivi più importanti, tra cui spicca Brasile 2014. Tutti soldi che confluiscono nelle Fifa, pronta poi come già accade con la Uefa in Champions a ridistribuirli alle nazionali.
E poi ci sono gli sponsor, che nel tentativo di vestire il maggior numero possibile di nazionali presenti in Brasile, stanno dando vita a una vera e propria battaglia economica. I giganti in gioco sono 3: Adidas, Nike e Puma. Una guerra iniziata formalmente nel 1994, quando in occasione dei Mondiali negli Stati Uniti la Nike ne approfittò per cominciare a vestire alcune nazionali, tra cui quella di casa. Subito dopo quel torneo, la Nike capì che per contrastare Adidas in maniera più ficcante, l’unica via era quella di agganciare nazionali più importanti di quella a stelle e strisce (che comunque veste ancora Nike) e, allo stesso tempo, assumere tra i propri testimonial personaggi del mondo del calcio, se non intere squadre. Fu così che nacquero spot famosissimi come quello di Eric Cantona che batte in una partita di calcio i diavoli con uno sprezzante «Au revoir»; o quello in cui la nazionale brasiliana palleggia con numeri d’autore in una aeroporto, a ridosso dei Mondiali del 1998.
E proprio nella finale di quella Coppa si affrontarono per la prima volta la Seleçao targata Nike contro la Francia firmata Adidas. Una situazione che si è ripetuta 4 anni dopo, nella finale del 2002: ancora il Brasile, stavolta vittorioso, affrontò la Germania, una delle corazzate del marchio delle 3 strisce. Arrivando fino ad oggi, con l’intramezzo della Puma che nel 2006 vestiva l’Italia, Adidas e Nike non si sono risparmiate per accaparrarsi testimonial e nazionali di prestigio, arrivando ad investire 400 milioni di euro all’anno.
Che possono sembrare pochi, se commisurati ai fatturati delle aziende in gioco. Nike ha guadagnato grazie al calcio 1,9 miliardi di dollari sui 25 complessivi nel 2013, ovvero il 17% della fetta del mercato dell’abbigliamento sportivo. Di contro Adidas, grazie al settore calcio, di miliardi di dollari ne ha guadagnati 2,4 su 20 totali. Se paragoniamo però l’investimento fatto dalla casa tedesca per Brasile 2014 con quello per Corea/Giappone 2002, capiamo quanto sia diventato importante il prodotto calcio: per spazi pubblicitari, divise degli arbitri, testimonial e palloni, Adidas investì 100 milioni di euro, contro i 400 di quest’anno. Un investimento che ha un effetto a cascata sulle nazionali e sul valore dei loro brand. Il Brasile (targato Nike) è quello che vale di più: 545 milioni di euro. Segue la Spagna (Adidas) con 533 milioni, al terzo posto l’Argentina (Adidas) con 530. Nella top ten ci sono solo due “intruse”: l’Italia 7° con 299 milioni è della Puma, il Belgio 6° con 366 milioni veste Burrda, marchio arabo. I dati parlano chiaro: se confrontiamo tali valori con quelli dei club, i cui dati sono appena stati pubblicati dalla società Brand Finance, si scopre che il brand del Brasile vale solo 4 milioni in meno del Real Madrid fresco campione d’Europa. E che l’altra finalista di Champions, l’Atletico, vale meno della Colombia (98 milioni dei Colchoneros contro i 198 della nazionale di Guarin e Falcao).
A contribuire all’alto valore economico di una nazionale, c’è anche il suo parco giocatori. A pensarci bene, una selezione non ha bisogno di comprare un giocatore: gli basta convocarlo. Ed ecco che alcune nazionali si ritrovano con una squadra dal valore altissimo, cosa che fa aumentare la loro importanza agli occhi di sponsor e telecamere (ed ecco che tutto torna). Ai Mondiali, sarà Messi (uomo immagine Adidas) il giocatore con il cartellino più costoso: 120 milioni di euro. A seguire Cristiano Ronaldo (uomo immagine Nike) con 100 milioni di euro. Nella top ten, solo un “intruso”: Balotelli (che vale circa 30 milioni) è uomo immagine della Puma. Un effetto che, secondo i calcoli di Euromericas Sport Marketing, fa si che si passi dai 277,5 milioni di euro del valore della rosa della Colombia (ultima della top ten) alla Spagna, prima con un valore di 734 milioni di euro.