Fabio Di Chio, Il Tempo 3/6/2014, 3 giugno 2014
NICOLETTI, IL CASSIERE DELLA «BANDACCIA» CHE VALEVA PIU’ DI MILLE MILIARDI
«Non voglio morire in carcere». Anche un boss può avere paura. Ed Enrico Nicoletti l’ha avuta. Il timore di terminare la sua esistenza agli arresti. Di non poter più vedere il cielo. Di essere belva in gabbia e non più re della foresta. Il cassiere dell’ex banda della Magliana quella frase l’ha pronunciata come un rantolo la sera del 24 febbraio 2012 ai carabinieri della Stazione di Tor Vergata, andati nella sua bella casa a Torre Angela a notificargli l’ordinanza di custodia cautelare per cumulo pena: rapina, usura ed estorsione, dal 1999 al 2003, su provvedimento emesso dal procuratore generale della Corte d’Appello di Roma. Oggi lui non è più il mago della «bandaccia». È un signore di 77 anni, affetto da cardiopatia, ipertensione e fibrillazione cronica. Dopo il trasferimento dal carcere all’ospedale di Parma è finito ai domiciliari ad Amelia, in Umbria, da una parente. Nei giorni scorsi l’ultima confisca ha colpito la sua villa nel Frusinate, stessa provincia dov’è nato, a Monte Sesto Campano.
AFFARI E USURA
Da giovane Nicoletti ha vestito la divisa di carabiniere. Poi si è messo in affari. Ha imparato in fretta come i soldi si possono guadagnare facendoli anche solo girare da un mercato finanziario all’altro. E in fretta ha compreso pure qual era un metodo sbrigativo per far fruttare gli investimenti: l’usura. Prestava e se alla scadenza pattuita non rientrava il capitale reso maggiorato degli interessi allora prendeva tutto. Le cose che erano del debitore diventavano sue. Con le buone o con le cattive. Perciò il ciociaro è diventato brand, un marchio di qualità nell’ambiente malavitoso, usato anche dai capi dell’ex banda della Magliana. Molti i soldi li spendevano. Altri li riciclavano. In primis Enrico De Pedis (morto ammazzato). Il testaccino aveva capito come funzionava la lavatrice che trasforma la ricchezza da sporca a pulita e chi aveva l’abilità di manovrarla. Nicoletti conosceva le persone che contano: esponenti di camorra, ’ndrangheta e mafia siciliana. Ma anche colletti bianchi. Tra le altre storie, è stato coinvolto anche nelle vicende dell’allora Cassa di Risparmio di Rieti e della finanziaria Fiscom.
RESA DEI CONTI
Dagli anni ’80, la resa dei conti interna alla holding criminale diventa strage. Uno a uno, molti della banda muoiono, pochi si pentono, qualcuno sopravvive. Nicoletti è uno di questi. Ha visto i suoi amici di un tempo castigati dalla pallottole, dal fuoco amico vendicatore. Un lutto dietro l’altro. Queste vittime "eccellenti" hanno lasciato un vuoto sulla scacchiera dei banditi romani ma ha tenuto in piedi una domanda. Che fine ha fatto il loro denaro? A chi è andato il patrimonio che avevano accumulato? Gli inquirenti hanno sempre guardato con interesse e sospetto al vecchio cassiere della banda, a Enrico Nicoletti. Per anni è stato colpito da sequestri, alcuni divenuti confische. Come l’attuale Casa del Jazz, una volta reggia del boss. Il signor Nicoletti ha sempre cercato di trattenere l’ingente malloppo fatto di case, ville, complessi turistici, attività commerciali, autosaloni e tanto tanto altro. Si è aggrappato con le unghie e coi denti alla sua ricchezza che ogni volta minacciava di sparire. I suoi avvocati hanno sempre presentato ricorso. Nicoletti ha agito re della foresta, da vincitore che rifiuta con forza la sorte che spetta ai vinti.
LA GRANDE PARTITA
Nell’agosto scorso la partità più grossa si è giocata davanti alla Cassazione. I giudici però hanno calato una carta inaspettata: «Non è più dirimente, per applicare le misure di prevenzione patrimoniale, l’accertamento o l’esclusione dell’esistenza di indizi di appartenenza ad un’associazione di stampo mafioso, in quanto, a seguito dell’entrata in vigore di tale normativa, la misura di prevenzione patrimoniale della confisca deve ritenersi legittima anche quando il titolare del bene sia da considerare semplicemente soggetto pericoloso, in quanto ritenuto abitualmente dedito a traffici e attività delittuose, da cui tragga almeno in parte i propri mezzi di sostentamento». Morale: Enrico Nicoletti è un «soggetto pericoloso». E perde: un patrimonio di oltre 600 milioni di euro, più di 1.200 miliardi delle vecchie lire. E ora ha paura.