Sergio Romano, Corriere della Sera 3/6/2014, 3 giugno 2014
QUANDO PASSÒ L’ESAME DI DEMOCRAZIA
Juan Carlos di Borbone avrebbe potuto rivendicare per sé nelle occasioni solenni, una impressionante lista di titoli. Era re di Spagna, ma di anche di Castiglia, Aragona, Léon, Galizia, Toledo e persin0 di terre straniere, dall’Ungheria alla Dalmazia, che erano finite per le più svariate ragioni nell’asse ereditario di quella che fu, con gli Asburgo, la maggiore
famiglia reale europea. Ma il suo padre politico fu il generale Francisco Franco y Bahamonde, caudillo dello Stato spagnolo dalla fine della guerra civile, nel 1939, alla sua morte, nel 1975.
L’autore del pronunciamento contro la Repubblica del 18 luglio 1936 avrebbe potuto abolire la monarchia e costruire per se stesso un nuovo Stato. Ma la parola «repubblica» gli suonava indigesta ed era troppo conservatore per rinunciare al grande passato del suo Paese. Fu così che il caudillo è stato per Juan Carlos ciò che Mazzarino fu per il futuro Luigi XIV alla corte di Francia. Non risulta che Franco abbia impartito lezioni al giovane Juan Carlos e scritto per lui le massime che formano il testamento politico del cardinale italiano (ma educato anche in università spagnole). Scartato il padre Juan, conte di Barcellona, per cui Franco non aveva alcuna simpatia, la scelta cadde sul terzogenito. Era un bel ragazzo, buon cacciatore (nel senso venatorio e amatorio), ma a tutti coloro che lo frequentavano dette l’impressione che avrebbe recitato con serietà la sua parte.
Occorre riconoscere che la strategia di Franco, soprattutto per un Paese che era stato devastato da una guerra civile, si dimostrò provvidenziale. Quando il Caudillo morì, Juan Carlos era pronto. Aveva frequentato le scuole militari del suo Paese, aveva completato gli studi all’università di Madrid e ed era stato iniziato con qualche stage agli arcani della pubblica amministrazione. Nel luglio del 1969 veniva ufficialmente riconosciuto erede al trono e il 22 novembre 1975 fu proclamato re di Spagna.
Gli mancava quell’esame di passaggio, dalla teoria alla pratica, che dimostra, prima o dopo di quale pasta sia fatta la persona a cui la nascita ha regalato un trono. La prova venne nel 1981 quando un tenente colonnello impettito, armato di mitra e seguito da una diecina di militari della Guardia civil, fece irruzione nell’aula del Congresso, intimò ai deputati di starsene tranquilli e lanciò una sventagliata di proiettili contro la volta della sala. Antonio Tejero poteva contare su qualche generale, alcuni reparti e un gruppo di volontari portoghesi. Era troppo poco per un pronunciamento, ma i congiurati erano probabilmente convinti che il Paese fosse pieno di franchisti nostalgici, pronti a mobilitarsi, e che l’occupazione del Congresso sarebbe bastata a riempire le piazze. Le cose andarono diversamente e Juan Carlos ebbe il merito di apparire alla televisione, all’una della notte del 24 febbraio, nella sua uniforme di capitano generale dell’Esercito, per condannare i golpisti e dire che avrebbe difeso le libertà costituzionali.
Promosso all’esame di democrazia, il re poté contare da quel momento sulla simpatia del Paese moderato e sul rispetto di coloro che non avevano dimenticato il loro sogno repubblicano. Più tardi, quando la Spagna cominciò a dare prova di grande vitalità economica, Juan Carlos mise le sue numerose frequentazioni sociali al servizio del Paese (e forse di se stesso) dimostrando di avere talento per gli affari. È stato un re costituzionale, rispettoso dell’autorità dei suoi primi ministri, deciso a evitare atteggiamenti che avrebbero risvegliato i pregiudizi anti-borbonici della Spagna repubblicana e libertaria. Nel novembre 2007 difese un ex primo ministro conservatore (José Maria Aznar) quando il presidente venezuelano Hugo Chavez lo attaccò pubblicamente durante un vertice latino-americano. Ma lo fece con una battuta (porque no te callas? , perché non stai zitto?) che piacque ai giovani spagnoli e divenne per qualche tempo la suoneria preferita dei loro cellulari.
Non credo che il governo Zapatero, durante il quale la Spagna ha riscoperto il suo passato repubblicano, abbia rimesso in discussione le sorti della monarchia. Credo piuttosto che il declino dell’immagine del re nella società spagnola sia dovuto al clima anti-istituzionale che ha contraddistinto quasi tutte le democrazie occidentali, soprattutto nell’ultimo decennio. In altri tempi l’incidente africano durante una partita di caccia nel Botswana avrebbe creato simpatia e forse, addirittura, invidia. Quanto alla monarchia non mi sembra che per il momento corra pericoli. Molti spagnoli pensano probabilmente che di fronte alla prospettiva di una secessione catalana un trono sia più utile all’unità del Paese della poltrona di un presidente repubblicano. Se la trasmissione del trono a Felipe avverrà senza troppe contestazioni e proteste, il merito sarà anche di Juan Carlos.