Carlo Panella, Libero 3/6/2014, 3 giugno 2014
LE CORONE FINISCONO ESODATE (NON DITELO AL POVERO CHARLES)
«Signora mia, non ci sono più i re di una volta», vien da dire. Con le dimissioni di re Juan Carlos siamo ormai all’epidemia di rinunce anticipate al trono. Si consolida il pensionamento anticipato dei sovrani, nonostante la Riforma Fornero. Appare lo spettro di monarchi non più con contratto a tempo indeterminato, ma Co.Co.Pro. Altro che Jus primae noctis! Certo, col Borbone si è quasi toccato il fondo. Juan Carlos è infatti riuscito nel capolavoro di sfarinare una fama di irreprensibile re da fare invidia a Carlo V. Tutto negli ultimi due anni. Prima quella maledetta foto da «Fantozzi nel Safari» che lo ritrae nella savana del Botswana, con la faccia ebete e il Winchester in mano accanto alla carcassa di un elefante. Roba da parvenu, da Hemingway formato Valtour che ha mandato in bestia Verdi, ecologisti e benpensanti dalla Mancia a Siviglia. Contemporaneamente, la notizia piccante: la compagna di quell’avventura non era affatto Sofia, titolare del letto regale, ma una principessa tedesca Corinna zu Sayn Wittgenstein (nulla a che fare col grande filosofo, ma una bionda col botto). Da quel dì, la stura dei gossipari iberici che finalmente si sono liberati delle cartuccelle scottanti che da anni tenevano nel cassetto, per timore di incrinare un aurea di rispettabilità regale ormai infranta, e hanno iniziato a sciorinare nomi. Tanti nomi. Un Bunga-Bunga iberico, ma di qualità: tutte donne del Gotha, titolate, ma anche mannequin. Nessuna ortodontista, però. Alla fine, chi è riuscito a tenere il conto ha stabilito che la povera regina Sofia di Grecia ha portato ben 1.500 corna. L’altro don Juan, quello vero, quanto a Spagna, si era fermato a «mille e tre»: un dilettante. Ma era solo l’inizio. I veri guai per il declinante sovrano sono iniziati quando la magistratura ha scoperto che suo genero Inaki Urdangarin, marito dell’Infanta Cristina, era immerso sino al collo in una grande operazione di riciclaggio e frode fiscale. Il risultato di questo moto franoso è stato inevitabile: il consenso per la monarchia è sceso in Spagna sotto il 50%. Una catastrofe per un re che per decenni era stato ammantato dall’aura di «salvatore della democrazia» per il modo con cui aveva disinnescato il «pronunciamiento» di Tejero (ma negli ultimi mesi si è scritto che Juan Carlos di quel tentativo di golpe sapeva molto, troppo, e da prima). Dimissioni dunque e passaggio dello scettro al principe Felipe. Juan Carlos d’ora in poi non ha più la scusa degli impegni di Stato per coprire le sue marachelle e gli tocca vivere (camere da letto separate da anni, però) sotto lo sguardo vendicativo dell’infuriata Sofia. Una sorta di arresti domiciliari dell’Eros.
Ma Juan Carlos è solo l’ultimo dei sovrani europei a prepensionarsi. Viene dopo Filippo del Belgio, Beatrice d’Olanda e precede di poco il re di Svezia Carlo Gustavo, che farebbe la fortuna di Ilda Bocassini se mai ottenesse il trasferimento alla Procura di Stoccolma. Per decenni ha infatti organizzato «festini selvaggi» con modelle e attricette a stento ventenni, nei locali di un tipino di nome Mille Mankovic, denominato simpaticamente dai media locali «il gangster». Tempo fa è stato beccato dalla polizia in una bisca clandestina, ma è riuscito a uscirne indenne. Sua moglie non porta più la fede al dito. Dunque, un’epidemia di dimissioni monarchiche, che non ha risparmiato neanche il potente sovrano del Qatar, Khalifa al Thani, proprietario tra l’altro di mezza Sardegna, che nel 2013, appena sessantenne, diede improvvise e clamorose dimissioni a favore del figlio Hamad. Ma, dato che al Thani era salito al trono nel 2000 organizzando un colpo di Stato militare contro il proprio padre, non è escluso in fondo che queste dimissioni non siano state del tutto spontanee. Tale figlio, tale padre. Infine, e con tutto il rispetto dovuto, perché nulla ha a che fare con i mediocri personaggi che occupano oggi i troni europei, dobbiamo ricordare che papa Benedetto XVI, quando lasciò il pontificato, si dimise anche da capo dello Stato Vaticano. Con grande sollievo. E con molte ragioni curiali, come oggi ben si vede.
Resiste solo Elisabetta II, regina d’Inghilterra, nota fuori dal regno più per i cappellini che per l’eloquio, che è a capo della «Ditta» (il copyright è della regina Vittoria, non di Bersani) da 61 anni. Pupilla dei rotocalchi planetari Elisabetta si è obbligata a regnare perché convinta di avere un figlio che in Piemonte definirebbero balengo. Solo l’idea che il Regno Unito abbia a capo il marito di Camilla la atterrisce. E pensa che questa sia la ragione della probabile secessione della Scozia, atterrita dall’idea di avere prima o poi un sovrano così imbranato. Ma lo sarà poi davvero?. Intanto si dice che anche Carlo è pronto a dimettersi ancor prima di diventare re. Una moda, ormai.