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 2014  maggio 30 Venerdì calendario

ERAVAMO DUE NEMICI AL BAR


Buenos aires. «Scrittori che hanno una fama superiore ai propri meriti? Borges, certo, benché ancora non possegga una sua opera». «Arlt? Un comunista, mezzo delinquente straordinariamente incolto». Si detestavano e non poteva essere altrimenti. I pochi mesi di distanza alla nascita li avevano scaricati in due mondi opposti. Jorge Luis Borges, agosto 1899, era erudizione, biblioteca, labirinto. Roberto Arlt, aprile 1900, era criminalità, strada, follia. Il borghese conservatore e il proletario ribelle, l’esteta e il combattente, il minotauro e il ruffiano, il conoscitore di letteratura raffinata e il lettore onnivoro di traduzioni indegne. Non potevano essere più diversi. E come sempre succede fra giganti tanto lontani, non potevano che rispettarsi e segretamente amarsi. La storia, labirintica e folle, delle strade che allontanano e infine uniscono due fra i più straordinari scrittori del Novecento argentino passa per le vere strade che i due uomini attraversarono. Di quartiere in quartiere, di caffè in caffè, Borges e Arlt sono il dedalo traboccante di una città che negli anni Venti cambiò radicalmente aspetto. Quando, a fine marzo del 1921, Borges tornò dai sette anni di Europa, scrisse: «La mia città adesso era enorme, quasi interminabile, dal Ponente alla pampa. Più che un ritorno è stata una scoperta». I luoghi in cui aveva passato la fanciullezza, tra patii ombrosi, vie scalcinate che presagivano povertà e odore lontano di pampa, erano scomparsi.
Oggi, il tour letterario a inseguire case che non ci sono più attraversa il quartiere chiamato Palermo, ormai esplosione di locali, baretti, negozi chic. Qui, fin dal 1966, la strada dove Borges visse al numero 2.135 e al 2.147 ha preso il suo nome. Con l’ironia e il sarcasmo più tipici, lo scrittore commentò: «Non voglio essere una strada. Voglio smettere di essere stato Borges, voglio che Borges sia dimenticato». Un bel libro ci accompagna tra questi angoli chiamati cuadras dove tutto si è frantumato (Sieglinde Oehrlein, Guía cultural de Buenos Aires. Tras las huellas de personajes ilustres en suelo porteño) e dove la fanciullezza dello scrittore era già perduta nel nulla al suo ritorno. Del resto, per inseguirlo negli anni in cui incrociò Arlt bisogna abbandonare il primo Novecento e spingersi oltre Palermo, nei quartieri già allora borghesi della Recoleta, di Retiro e del centro, dove gli infiniti traslochi accompagnarono lo scrittore nel suo viaggio verso la cecità. La cerchia di intellettuali con cui aveva preso a condividere gli interessi letterari ruotava attorno alla via che è cuore pedonale e commerciale del cosiddetto Microcentro: calle Florida. Il caffè Richmond oggi è chiuso e sull’uscio si accampano famiglie di mendicanti, mentre il celebre Tortoni è diventato una sorta di museo, la più visibile e turistica perla di quei caffè monumentali e di commovente eleganza disseminati per la città.
Nel frattempo, Arlt seguiva un’altra rotta. Era cresciuto nelle vie periferiche di Flores. Aveva conosciuto da vicino criminali e prostitute e aveva raffinato sul campo una conoscenza tutta sua della lingua più sanguigna della città, quella declinazione ibrida del castigliano immerso nelle lingue degli emigranti: il lunfardo. I locali appestati di fumo, lerciume e strani figuri che frequentava ce li possiamo immaginare ancora, visto che ne ha descritti parecchi. Su tutti, il primo raccontato in quello che è forse il suo capolavoro: I sette pazzi. «Un nero con cravattino a farfalla e scarpe di tela si spidocchiava le ascelle, e tre magnaccia polacchi, con grossi anelli d’oro alle dita, parlavano di bordelli e puttane nel loro gergo». Quando cominciò a cercare una sponda, un luogo dove incontrare giornalisti e scrittori simili a lui, Arlt prese a girare attorno all’arteria che avrebbe dato il nome al circolo antagonista a quello borgesiano di Florida: Avenida Boedo. Qui, secondo la ricostruzione dello stesso Arlt, il proprietario del Biarritz, poiché non aveva sotterranei dove far riunire gli intellettuali, pensò di salire in terrazza. «O si è di Boedo o si è di Florida. Si sta con i lavoratori o con i signorini. Il dilemma è semplice e chiaro. Boedo è il fuoco della letteratura clandestina, delle edizioni economiche che non pagano diritti agli autori. Qui si vendono molte più copie che in tutta la calle Cor rientes e Florida». Il disprezzo fuma ancora nelle parole arltiane. E le strade lo corroborano: mentre si risale Boedo, tra il Caffè Homero Manzi e il Margot una targa ricorda la casa editrice La Claridad, megafono del gruppo, e lì accanto un ingresso oscuro nasconde sale da biliardo e atmosfere che la penna di Arlt descrisse magnificamente.
Un taxi in una manciata di euro vi porterà all’opposto da qui, nelle sale dove Borges regolarmente mangiava, al Munich Recoleta, davanti al famoso cimitero. Opposti destinati a non incontrarsi mai, se non nel paradosso dell’amore e dell’odio – così secondo le ricostruzioni più ricorrenti. E invece le cose andarono diversamente. Fu Crítica a farli incontrare: un giornale importantissimo nella storia intellettuale del Paese (1913-62). Arlt fu chiamato a scrivere cronache poliziesche seguendo l’istinto e lo stile che spingevano ormai numerosissimi lettori a comprare i giornali solo per cercarne la firma. Borges fu chiamato per codirigere il supplemento culturale ma anche per scrivere racconti. Argomento? Banditi e assassini. Da qui in poi le carte andarono mescolandosi. Si racconta che Borges fosse nascostamente fiero di una risposta che Arlt aveva dato ai suoi critici, pronti a rimproverargli le carenze sintattiche e addirittura un uso improprio dell’argot porteño, quasi che il lunfardo richiedesse una grammatica: «Sono cresciuto tra criminali e gente povera, davvero non ho avuto il tempo di studiare la lingua». Ma, fuori dall’aneddotica, chi ha sempre guardato ai due autori come facce di una stessa medaglia, ricorda ben altro. È stato Ricardo Piglia (sua la citatissima «unire Borges e Arlt è una delle utopie della letteratura argentina e il tentativo è rintracciabile in Cortázar e Marechal, e molto chiaro in Onetti») a mostrare in un romanzo (Respirazione artificiale) che in un racconto di Borges – L’indegno – si nasconde una trasposizione in miniatura del primo romanzo di Arlt, Il giocattolo rabbioso. «Cos’è questo se non un omaggio di Borges all’unico scrittore contemporaneo che sente come suo pari?».
Noi abbiamo un’ultima strada per cercare l’intreccio scandaloso e straordinario fra i due grandi nemici. Basta immergersi, una volta ancora, tra le vie di Buenos Aires e seguire il cammino di Borges sulle tracce del mitico Aleph, «uno dei punti dello spazio che contengono tutti i punti». Si deve attraversare plaza Constitución e tirare dritto su calle Garay. E allora tutto sarà chiaro. Come è immediata la visione dell’Aleph, al diciannovesimo gradino di un sotterraneo infestato di topi, così è immediata la nostra illuminazione. Constitución è un via vai di gente sputata dalla stazione dei treni. Luridi commerci, sclere bianche di occhi che ti guardano con risentimento, mosse veloci da cui proteggersi. Ma su calle Garay la situazione peggiora. La piazzetta dove Borges si spinse per trovare «il luogo dove si trovano, senza confondersi, tutti i luoghi della terra, visti da tutti gli angoli» è un intrico di travestiti, puttane, tossici e criminali. Chi mi accompagna affretta il passo, vuole andare via, ha paura. L’insegna di un hotel dove non entreresti mai sbatte al vento, i locali di un infimo commercio risuonano di voci, vetrate sporche nascondono decrepiti telefonisti. Tutto improvvisamente si schiude. Mentre Borges si calava nei bassifondi, Arlt era già morto da un pezzo (scomparve a soli 42 anni) ma probabilmente lo guardava dal paradiso degli scrittori veri, un calice prezioso in mano, la salvietta bianca stirata sulle ginocchia, ghignando in perfetto sgangherato lunfardo con accento italo-tedesco.

Matteo Nucci, il Venerdì 30/5/2014