Alberto Custodero, il Venerdì 30/5/2014, 30 maggio 2014
DIVORZIO TROPPO BREVE PER ESSERE VERO
Roma. Troppo breve per essere vero. Il divorzio nuova versione, fortissimamente annunciato come una doppia rivoluzione – del costume e della giustizia civile – piace a molti ma non a tutti e, benché venga dato già per fatto, il rischio del pasticcio all’italiana è dietro l’angolo. Ed è soprattutto il fronte degli avvocati matrimonialisti a essere sul piede di guerra.
Eppure, per la giustizia civile – una specie di mostro con 5,4 milioni di cause pendenti – rendere più facile e rapido il momento dell’addio potrebbe fare la differenza. Il testo approvato alla Camera in commissione Giustizia prevede infatti la riduzione dei tempi – in caso di contenzioso – da tre anni a 12 mesi. E a sei mesi in caso di accordo consensuale. Alla Camera in queste settimane è in corso il dibattito con la discussione degli emendamenti. La votazione finale è attesa entro la fine giugno: presto, prestissimo, sapremo come è finita. La relatrice della norma, la deputata pd Alessandra Moretti, per ora contiene a stento l’entusiasmo: «Il nostro testo smina la cultura del contenzioso tra coniugi, e questo a beneficio dei figli» . I figli sono il nodo centrale: «Può sembrare un paradosso, perché proprio nel momento dell’addio dei genitori, noi riaffermiamo la cultura della famiglia, ribadendo che la responsabilità genitoriale deve resistere anche quando la coppia smette di amarsi». Stoccata finale: «Vogliamo festeggiare i 40 anni del referendum sul divorzio con una legge che, oltre a facilitare le relazioni tra marito e moglie, riduca i costi delle separazioni. Snellisca la macchina burocratica, intasata da decine di migliaia di ricorsi. E soprattutto favorisca la nascita di nuove famiglie, quelle che aspettano la sentenza di divorzio per risposarsi». Ma come la prenderà il fronte dei cattolici più oltranzisti? «Be’, sono curiosa di sapere cosa dirà Carlo Giovanardi. Anche perché con questo Papa, che ogni giorno fa dichiarazioni sull’accoglienza e la solidarietà, credo che i cattolici abbiano ben compreso che le ragioni della famiglia sono altre. E che vadano tutelati i diritti di tutte le forme di convivenza».
Nel frattempo, come si diceva, i legali civilisti vanno all’attacco. «La vera riforma del diritto di famiglia passa per l’eliminazione della fase della separazione» tuona l’Associazione degli avvocati matrimonialisti italiani (Ami). «Il divorzio breve» attacca l’avvocata Giulia Facchini, «è una trovata meramente elettorale, posto che per divorziare occorre comunque prima avere una sentenza di separazione e le cause di separazione durano in media due anni».
Secondo i dati del ministero della Giustizia, nei tribunali ordinari le separazioni durano mediamente 103 giorni, quelle giudiziali 675 giorni, i divorzi consensuali 132 giorni, quelli con rito giudiziale 680 giorni. Insomma, attualmente ci vogliono anni e anni per arrivare alla fine del matrimonio con costi elevatissimi in termini di spese legali, perdita della qualità della vita, e stress subito dai figli.
«Se avessero voluto aiutare la famiglia» attacca ancora Facchini, «avrebbero potuto nominare più giudici e assistenti sociali. E potevano almeno consentirci, in caso di consensuale, di stringere dei patti in sede di separazione validi anche dopo, al momento del divorzio. Patti che ora sono ritenuti nulli dalla Cassazione». Il caso più recente di norma sulla famiglia che ha «provocato il caos negli uffici giudiziari», secondo gli avvocati, è proprio quella che equipara i figli nati nelle coppie di fatto a quelli delle coppie sposate. «L’equiparazione è sacrosanta, ovviamente» commenta Giulia Facchini, «peccato che due recenti riforme abbiano trasferito il contenzioso per le separazioni delle coppie di fatto al tribunale ordinario, il quale giudica con una procedura in camera consiglio, largamente incostituzionale in base alle norme del giusto processo».
In sintesi, conclude Facchini, «il destino dei figli nati dal matrimonio lo si decide con la procedura della separazione e del divorzio. Quello dei figli delle coppie di fatto con una procedura che ogni tribunale s’è inventato a propria immagine e somiglianza». Gli avvocati fanno presente anche un altro problema: sia i tribunali sia i servizi socio assistenziali hanno pochi strumenti - pochi soldi, per cominciare - per intervenire adeguatamente a supporto delle famiglie che si lasciano in modo conflittuale: «E guardate che sono parecchie, l’escalation della violenza domestica lo mostra chiaramente».
La tensione finora è rimasta sotto traccia, ma le mine sono pronte a esplodere. Così il governo media. Anzi, in questa storia del divorzio breve l’esecutivo sembra avere il ruolo dei notaio. E infatti il viceministro Enrico Costa, nel suo intervento in Commissione, si è «rimesso alle decisioni della Camera, essendo la legge di iniziativa parlamentare». Ma è un notaio «partigiano» e Costa, per precisare la posizione sua e del ministro Andrea Orlando, oggi spiega: «Dobbiamo ammettere che tre anni di tempo, dalla separazione al divorzio, non sono serviti, com’era allora nelle intenzioni del legislatore, a far tornare indietro i coniugi dalle loro decisioni di separarsi. E a ricomporre le coppie. È dunque ora che la politica ne prenda atto e adegui la legge alle nuove esigenze sociali. E soprattutto a quelle delle famiglie». Altra questione sarà fare funzionare la macchina dei tribunali: «Il governo ha come punto di attenzione fortissima il procedimento civile. Sicuramente si interverrà con tutta una serie di atti, a cominciare da quelli per consentire l’entrata in vigore del processo telematico ». Le mine non sembrano fargli paura: «Il metodo fin qui seguito sarà la discussione di ogni provvedimento con gli attori del processo, avvocati e magistrati».
Alberto Custodero, il Venerdì 30/5/2014