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 2014  maggio 31 Sabato calendario

IL SOLDATO TAJANI È BUONO PER TUTTE LE STAGIONI


Il gentiluomo Antonio Tajani, notabile di Forza Italia fin dal primo giorno della “discesa in campo” del suo sire Berlusconi, ha il magico potere di riassumere in sé il classico binomio stupore e meraviglia. Perfino sotto la soglia europea del 16%, l’uomo, per come serafico appare tra gli ospiti di Andrea Pancani a Omnibus, su La7, riesce a mantenere appunto la forza dei nervi distesi, l’invidiabile nirvana forzista, insieme alla sua ben nota caratteristica posturale ricorrente: una certa rigidità del collo, che tuttavia Tajani ostenta con naturalezza capitolina, nonostante l’aspetto inamidato. La sua carriera politica, per nulla da buttare via, muove da una militanza monarchica, e questo al tempo in cui c’era ancora da tribolare in attesa che i Savoia ottenessero il nullaosta per il rientro in Patria, la sua scia grigia luminosa, dicevano, è tutta racchiusa nel fatto d’essere stato “capato” (nel senso di scelto) dal magnanimo Silvio Berlusconi al momento di creare una degna propria rappresentanza nell’Urbe. Il tracotante Cesare Previti, come no, ma anche il sobrio e discreto Antonio Tajani dal basso profilo, ottimo per una qualche commissione europea, e perfino per scaldare la platea dell’aristocrazia nera (di cui l’uomo, il commissario, lo statista Antonio fa parte per privilegio di nascita) quando c’è da ricordare i valori sempiterni della destra, la stessa che a Roma non può non mostrarsi clericale e palazzinara come la Dc andreottiana ha sempre preteso.
Non si può volergliene a Tajani. C’è infatti qualcosa di soavemente, garbatamente, romanamente inerme nella persona, nel personaggio, mai un tono fuori posto, mai che il sismografo delle sue opinioni lo porti fuori dallo spettro dei grigi, dell’antracite, nel più estremo dei casi. Anche l’altro ieri, lì a “Omnibus”, in assenza di un vero contraddittorio con gli altri ospiti presenti, l’uomo, il Tajani ha provato a spiegare perché mai le primarie potrebbero essere non proprio indicate come strumento di selezione della classe dirigente sotto le bandiere di Forza Italia. Già, Tajani ha spiegato che nelle regioni ad alta densità criminale organizzata, il suo partito, nota casa comune di persone virtuose, non avrebbe mezzi sufficienti per sventare i tentativi di infiltrazione (dire direttamente mafia non è mai ritenuto molto chic in casa degli Azzurri). E mentre il nostro Antonio diceva così, non c’era davvero nessuno che avesse cuore di smentirlo, nonostante idealmente brillassero nel cielo degli azzurri il ghigno dei Previti, degli Scajola e dei molti suoi compagni di strada lambiti dalle note dei mattinali. L’uomo, ripeto, non conosce ipocrisie, altrimenti non ci avrebbe fatto recentemente dono di una spassionata dichiarazione secondo la quale sia “un errore eliminare Gheddafi”.
Il candidato perfetto per ottenere l’applauso e il plauso dalle cento dieci mille contesse Serbelloni Mazzanti Viendalmare che non meno degnamente di Antonio nostro arredano il corpo elettorale e le salmerie dell’ex Stato Pontificio.

@fulvioabbate

Fulvio Abbate, Il Fatto Quotidiano 31/5/2014