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 2014  maggio 31 Sabato calendario

QUOTE BANKITALIA, REGALO BIS: ALLE BANCHE 380 MILIONI


Regalo alle banche parte due: il dividendo che la Banca d’Italia paga alle banche private che detengono le quote del suo capitale per il 2013 sarà di 380 milioni di euro, contro una media degli ultimi 15 anni di 46,5 milioni. È l’effetto della rivalutazione del capitale da 156 mila euro a 7,5 miliardi decisa dal governo Letta e approvata, a colpi di fiducia e tra le proteste del Movimento Cinque Stelle, all’interno di un decreto legato sull’Imu. “La riforma non è un regalo alle banche”, aveva detto il governatore Ignazio Visco in Parlamento a febbraio. Ma nelle considerazioni finali (il discorso annuale di fine maggio) di ieri ha presentato i risultati di bilancio di via Nazionale per l’anno 2013: allo Stato vanno 1,9 miliardi di euro di dividendi più 1,6 di tasse, alle banche private 380 milioni.
LA RIVALUTAZIONE A 7,5 MILIARDI
Riassunto delle puntate precedenti: nel 1936, il capitale della Banca d’Italia viene fissato a 156 mila euro. Finché le banche erano pubbliche, nessun problema: gli utili, frutti dell’attività della Banca centrale (gestione dei tassi di cambio, signoraggio, operazioni con titoli, sanzioni), diventavano dividendi che andavano alle banche “quotiste”, cioè titolari delle quote del capitale. I soldi rimanevano nel pubblico. Negli anni Novanta le banche sono state privatizzate, ma hanno continuato a percepire dividendi da Bankitalia. Nel 2005 viene stabilito che lo Stato deve ricomprarsi le quote, così la proprietà giuridica della Banca d’Italia sarebbe tornata pubblica. Legge mai applicata.
Nel 2013 la riforma: il governo Letta fissa il valore corretto del capitale di Bankitalia a 7,5 miliardi, una parte delle riserve diventa capitale, cambiano le regole per calcolare i dividendi (non più in percentuale sulle riserve ma sugli utili, con un tetto massimo a 450 milioni, i soci non hanno più diritti sulle riserve). Motivazione formale: fare chiarezza nei bilanci degli istituti, visto che ognuno indicava le quote di Bankitalia a un valore diverso. Motivazioni reali: dare un aiuto alle banche italiane in un anno difficile, tra crisi ed esame degli attivi da parte della Bce in vista dell’Unione bancaria. E, dal lato di Visco e di via Nazionale, assicurarsi per sempre l’indipendenza dalla politica: la Banca d’Italia è un ente di diritto pubblico, poco importa chi sono gli azionisti perché (in teoria) non incidono sulla gestione. Ma tutte le moderne Banche centrali vogliono restare il più lontano possibile dai politici, sempre inclini alle interferenze: con la rivalutazione del capitale, Bankitalia ora sa che lo Stato non potrà più riprendersi le quote. Ma la libertà ha un prezzo: visto che la legge obbliga le banche socie a vendere le quote in eccesso oltre il 3 per cento, bisogna che quelle quote abbiano un valore, determinato dall’attesa dei dividendi futuri. Che sono, e resteranno, attorno ai 380 milioni all’anno. CosìIntesaeUnicreditpossono sperare di vendere le azioni in eccesso, rispettivamente il 27,3 e il 19,1 per cento, e incassare 3,5 miliardi circa. Con la Banca d’Italia che si impegna a fare da compratore (o almeno da intermediario) se non c’è nessuno interessato a rilevarle. Le banche già hanno avuto un beneficio contabile – 2,1 miliardi per Intesa Sanpaolo – dalla rivalutazione in bilancio, che poi il governo Renzi ha deciso di tassare con un’aliquota superiore a quella attesa: il 26 per cento. E ora arrivano i dividendi.
80 EURO PROMOSSI SOLO A METÀ
Ma a questo argomento Visco dedica poche righe delle sue considerazioni finali. Per il resto il governatore descrive il quadro macroeconomico e le nuove funzioni di Bankitalia nel quadro della vigilanza europea sulle banche. A differenza dei governatori del passato, incluso Mario Draghi, Visco non ama dettare l’agenda alla politica. Ma qualche accenno c’è: “Misure di politica economica che agiscono dal lato della domanda sia da quello dell’offerta, in un quadro organico e coerente, possono sostenere l’attività economica nel breve termine e dare forza al progetto riformatore”. Tradotto: bene gli 80 euro di Renzi ma solo se sono permanenti e non un bonus elettorale. Poi serve crescita o saranno guai con la riduzione del debito pubblico prevista dalle regole europee, “crescita economica ed equilibrio del bilancio pubblico non possono che essere perseguiti congiuntamente”. E una sorpresa: nelle stime campionarie della Banca d’Italia i debiti della Pubblica amministrazione verso i fornitori sono scesi poco, da 90 miliardi di fine 2012 a 75 di fine 2013. Il governo ne ha pagati 23,5 e ne sta per saldare altri otto.
Quanto al caos fiscale sugli immobili , Visco spiega che: “Nel 2014, nell’ipotesi di applicazione della Tasi ad aliquota base, il prelievo aumenterebbe di circa il 12 per cento (rimanendo comunque ben al di sotto del livello registrato nel 2012). Se ciascun capoluogo applicasse un’aliquota pari al 2,5 per mille, il prelievo complessivo crescerebbe di oltre il 60 per cento”. Ma non tutti i Comuni hanno ancora fissato l’aliquota.
COME ARGINARE LA BASSA INFLAZIONE
Più che dalle tasse, la Banca d’Italia è preoccupata dall’inflazione troppo bassa che riduce gli investimenti e aggrava il fardello dei debitori: secondo l’Istat il tasso di crescita annua dei prezzi è passato dallo 0,6 per cento di aprile allo 0,5 di maggio. Per allontanare i timori di deflazione (cioè prezzi che addirittura scendono), la Bce di Mario Draghi è pronta ad annunciare misure straordinarie nella riunione di giovedì prossimo. Intanto la Banca d’Italia annuncia che le banche italiane potranno portare alla Bce come garanzie anche le linee di credito in conto corrente per ottenere liquidità a breve termine. A Draghi il compito di presentare il meccanismo giusto per spingere le banche a iniettare quella liquidità nell’economia reale e combattere una crisi che nella analisi di Visco non ha finito di produrre i suoi perniciosi effetti.

Twitter @stefanofeltri

Stefano Feltri, Il Fatto Quotidiano 31/5/2014