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 2014  maggio 31 Sabato calendario

ATLETICO A DOPPIO FONDO


L’Atletico Madrid, rivelazione della stagione calcistica 2013-14, può davvero rappresentare un modello per i top club italiani nel tentativo di conciliare equilibrio economico e risultati sportivi? Se il neopresidente dell’Inter, l’indonesiano Erick Thohir ha affermato apertamente fin dal suo arrivo in Italia di ispirarsi al Manchester United (oggi distante anni luce dai nerazzurri in termini di ricavi e redditività), puntando, nel medio-termine, allo sviluppo del brand del club sui mercati asiatici, secondo l’ad del Milan, Barbara Berlusconi, e per l’azionista di riferimento della Juventus, il presidente di Exor, John Elkann, i Colchoneros, vincitori della Liga e finalisti di Champions League, rappresenterebbero invece l’esempio di un nuovo modo di fare calcio in grado di conciliare i risultati sportivi con una relativamente bassa spesa finanziaria. «L’Atletico Madrid dimostra che non sono i soldi a fare la differenza», ha affermato Elkann pochi giorni prima della finale di Lisbona, sottolineando come «l’Atletico Madrid, che ha vinto il campionato spagnolo ed è in finale di Champions, è un esempio molto tangibile».
Una posizione condivisa anche dalla figlia di Silvio Berlusconi, che attualmente ha la responsabilità, come amministratore delegato, delle attività commerciali e dei progetti strategici del Milan. «L’Atletico Madrid è un esempio importante: con un progetto, con una programmazione e con una rete di osservatori si possono ottenere risultati importanti senza risorse infinite.
L’Atletico ha vinto il titolo contro Real Madrid e Barcellona, squadre tra le più forti al mondo che possono contare su risorse notevoli. Anche rispetto a Milan o Juventus, l’Atletico ha un monte ingaggi nettamente inferiore». Niente da dire, sia chiaro, sulla straordinaria stagione dei Colchoneros e sulle capacità dimostrate come allenatore da Diego Simeone, il nodo tuttavia è che sia Elkann che la Berlusconi citano come modello la gestione del club biancorosso non tanto l’ottima stagione della squadra. Una gestione che, come ha sottolineato alla vigilia della finale di Champions la stampa britannica, non solo non è cristallina, a causa dell’ingaggio sistematico di calciatori di proprietà di fondi di investimento (a partire dal Doyen Sports Investment, legato al re dei procuratori, il portoghese Jorge Mendes), e che dunque non pesano sui conti del club, ma anche perché la struttura finanziaria dell’Atleti è pesantemente condizionata dall’ingente indebitamento col Fisco spagnolo.
Sarebbe dunque sbagliato limitare l’analisi al solo conto economico, senza esaminare anche la struttura dello stato patrimoniale dell’Atletico e le modalità con cui viene finanziato l’attivo.
Così facendo si potrebbe facilmente affermare che, con un fatturato di soli 120 milioni (meno della metà di quello di Juve e Milan) e un costo del personale di 63 milioni (circa un terzo di quello di bianconeri e rossoneri), i Colchoneros hanno avuto un ritorno in termini sportivi indubbiamente più elevato. La realtà è però più complessa. Alla fine dello scorso esercizio l’Atletico Madrid aveva un attivo pari a 576 milioni di euro, di cui il 70% è rappresentato da attività a lungo termine. I diritti alle prestazioni sportive dei giocatori incidevano solo per il 10% e ammontavano a 58,7 milioni (nei bilanci di Milan e Juve rappresentano rispettivamente il 33 e il 27%). La quota più consistente dell’attivo era invece rappresentata da crediti commerciali verso terzi a lungo termine per 236,36 milioni (buona parte dunque della voce «immobilizzazioni finanziarie» indicata nella tabella a pagina 27). Si tratta di crediti legati ai proventi della cessione, avvenuta nel giugno 2010, del terreno sul quale attualmente sorge lo stadio Vicente Calderon, che dovrebbe essere demolito, non appena sarà pronto il nuovo impianto dell’Atletico alla Peineta, per lasciare spazio a insediamenti residenziali. Anche tra i crediti a breve termine residua un importo notevole per 82,5 milioni, sempre legato ad operazioni immobiliari, in particolare la vendita di terreni associati al centro sportivo.
Apparentemente, dunque, il club, controllato con il 60,71% da Miguel Angel Gil Marín (figlio del più famoso Jesus Gil y Gil) e partecipato al 21,88% dal presidente Enrique Cerezo Torres, sembrerebbe essere seduto su un tesoretto non indifferente, che una volta monetizzato dovrebbe consentire all’Atletico di fare fronte senza problemi all’investimento legato al nuovo stadio da 270 milioni. In realtà le note positive finiscono qui. Se si guarda infatti allo stato patrimoniale passivo del club biancorosso risulta infatti evidente che la situazione finanziaria del club non è poi così brillante. Anche se alla fine dell’esercizio scorso, a differenza di molti club italiani come il Milan e l’Inter, il patrimonio netto dell’Atletico era positivo per 33,2 milioni, quest’ultimo finanziava solo il 6% dell’attivo. Un evidente segnale di sottocapitalizzazione e di un massiccio ricorso a finanziamenti di terzi. Ma chi sono questi terzi? Vediamo il dettaglio: i debiti verso fornitori, cui l’Atletico al 30 giugno 2013 era esposto per 62,3 milioni rappresentano l’11,53% del passivo, quelli verso altre società di calcio (58 milioni, ma a fronte di crediti per 74,3) pesano per il 10,7%, quelli nei confronti del personale (44,5 milioni) per il 10,2%, mentre i debiti nei confronti delle banche sono pari a 113,7 milioni (di cui 90,6 milioni a breve termine), con un incidenza del 20,9% su tutto l’indebitamento. La quota maggiore è invece rappresentata dai debiti nei confronti dello Fisco spagnolo: oltre 200 milioni (di cui 61,5 milioni a breve termine) con un peso sull’indebitamento complessivo del club del 36%. A fronte di questi l’Atletico può vantare crediti verso l’Erario, per 51,6 milioni, ma i revisori hanno evidenziato che la realizzazione dei crediti per imposte differite, dipenderà dalla capacità di generare utili nel futuro.
Ciò non toglie che il macigno rappresentato dal debito verso il Fisco stia condizionando pesantemente la gestione del club, comprese le strategie di mercato dei Colchoneros. L’accordo raggiunto con l’amministrazione fiscale spagnola prevede che al termine della stagione 2013-14, culminata con la vittoria nella Liga di Diego Costa e compagni e con la storica finale di Champions, l’Atletico debba versare all’Erario una rata monstre da 58 milioni. Una cifra imponente anche alla luce dell’aumento dei ricavi legati ai maggiori proventi da diritti tv che il club percepirà dalla Uefa per essere arrivato fino in fondo in Europa. Come ha evidenziato nei giorni scorsi Jose Maria Gay, professore di finanza e contabilità presso l’Università di Barcellona, che si occupa appunto di bilanci dei club, con un flusso di cassa pari al 5% del suo stock di debito, l’Atletico era la più debole – sotto il profilo finanziario – delle otto squadre che hanno raggiunto i quarti di finale di Champions League. Secondo Gay, dunque, i colchoneros «hanno un problema cronico, dovendo preoccuparsi continuamente dei costi a servizio dei loro debiti».
Ma ancora fino allo scorso autunno, la speranza della dirigenza dei Colchoneros era quella di poter fare leva sulla possibile assegnazione a Madrid delle Olimpiadi del 2020 per utilizzare quanto incassato dalla vendita del terreno del Calderon per chiudere le proprie pendenze con l’Erario. Se la capitale spagnola non fosse stata eliminata dalla corsa per i Giochi del 2020, con ogni probabilità l’Atletico avrebbe traslocato nel futuro Stadio Olimpico, evitando di investire le risorse incassate nella costruzione del nuovo impianto di proprietà e destinandole invece alla chiusura delle pendenze fiscali. Uno scenario svanito come neve al sole lo scorso settembre, quando il Cio ha deciso di assegnare le Olimpiadi del 2020 a Tokyo.
Proprio il peso dei debiti fiscali sui conti dell’Atletico aiuta a spiegare i rapporti intrattenuti dal club (che però non ha mai ufficialmente confermato la circostanza) con quei fondi di investimento proprietari dei cartellini dei calciatori (i cosiddetti Tpo o third party owner) contro i quali il presidente della Uefa, Michel Platini, ha da tempo avviato una dura battaglia. Per comprendere l’origine di questi rapporti bisogna risalire all’estate del 2011, quando il club madrileno, proprio per onorare i propri impegni col Fisco, fu costretto a fare cassa cedendo alcuni dei campioni che avevano contribuito alla vittoria dell’Europa League nella stagione 2009-2010, tra cui il giovane e promettente portiere David de Gea, acquistato dal Manchester United per 20 milioni e l’attaccante Sergio Aguero al Manchester City per 45 milioni. Complessivamente nelle casse dei Colchoneros entrano circa 85 milioni, metà dei quali destinati allo Stato spagnolo. Sembrava la fine dei sogni di gloria per il club. E invece l’Atletico riuscì a reinvestire nella campagna acquisti circa 91 milioni, più di quanto incassato con le cessioni. Nell’estate del 2011 arrivano a Madrid dallo Sporting Braga Pizzi e Silvio, pagati rispettivamente 13,5 e 7 milioni, dal Galatasaray viene prelevato Arda Turan per 13 milioni. Ma il colpo più sensazionale è senza alcun dubbio l’acquisto dal Porto per 40 milioni dell’attaccante colombiano Radamel Falcao. Se l’Atletico è riuscito in tutto ciò, infatti, è stato anche grazie alla decisione di mettersi in affari proprio con uno di quei fondi di investimento, forse il principale. Si tratta del Doyen Sports Investment, braccio sportivo della società di investimento Doyen Group, nel quale avrebbe interessi anche Jorge Mendes, il potentissimo super-agente di Cristiano Ronaldo e Jose Mourinho, e guarda caso, anche dello stesso Falcao, ceduto la scorsa estate al Monaco per 60 milioni, e della rivelazione di questa stagione Diego Costa, ormai sempre più vicino al Chelsea dello Special One.

Andre Di Biase, MilanoFinanza 31/5/2014