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 2014  maggio 31 Sabato calendario

IL DECENNIO MARCHIONNE


Domenica 1° giugno Sergio Marchionne festeggerà i dieci anni alla guida della Fiat, di cui è stato nominato amministratore delegato appunto nella primavera 2004.
Ma, secondo quanto trapela, invece che con il tradizionale brindisi il compleanno sarà festeggiato in modo più operativo ovvero con un colloquio con il presidente del Consiglio Matteo Renzi. Il manager e il premier saranno infatti ospiti al Festival dell’Economia di Trento e, benché saliranno nella città tridentina per presenziare a due diversi eventi della kermesse, avranno non solo l’occasione di salutarsi ma anche di intavolare un colloquio che, nelle intenzioni, dovrebbe gettare le basi per un incontro più strutturato da organizzare a breve in una sede più istituzionale. Un rendez vouz, quest’ultimo, in cui si dovrà discutere nei dettagli delle nuove prospettive per gli stabilimenti italiani alla luce del nuovo piano industriale del Lingotto svelato a inizio maggio negli Stati Uniti, ma anche alla luce dell’esito delle elezioni europee che hanno registrato il trionfo di Renzi e del Pd.
Il successo del presidente del Consiglio nella recente tornata di votazioni ha infatti rafforzato nei vertici Fiat l’idea di avere ora un chiaro punto di riferimento con cui confrontarsi nel prossimo futuro.
Di qui la soddisfazione di Marchionne, che il 27 maggio, in occasione del decennale della morte di Umberto Agnelli al Sestriere, ha dichiarato di essere felice del risultato delle votazioni, che «significano un passo in avanti per l’Italia». Conseguente è necessità di fissare un incontro con il capo del governo per fissare la nuova strategia della Fiat nei rapporti con le istituzioni
L’incontro con Renzi, a un mese di distanza dalla presentazione del nuovo piano industriale, rappresenterà quindi il primo atto del nuovo corso di Fiat Chrysler. Un progetto che dovrebbe rendere la casa automobilistica italo-statunitense una società capace di fabbricare 7 milioni di automobili l’anno con un investimento complessivo da 55 miliardi entro il 2018. Con l’obiettivo di rafforzare il Lingotto ella posizione di settimo produttore di automobili al mondo riassorbendo inoltre tutti i lavoratori in cassa integrazione negli stabilimenti italiani. Di qui il forte interesse di Renzi.
Lo scetticismo su questa trasformazione tuttavia è diffuso nel settore. Non a caso la stragrande maggioranza dei report delle case d’affari invita alla cautela quando esamina il titolo Fiat.
Il consiglio, si legge nei report, è: attendere e osservare («wait and see» in inglese). Il consiglio di investire sul titolo semmai scatterà quando si osserveranno i primi concreti risultati dell’ambizioso business plan.
Tutto ciò per quanto riguarda il futuro. Se invece si volge lo sguardo indietro cercando di fare un bilancio del primo decennio di Marchionne sulla tolda della società torinese, gli osservatori sono concordi sul fatto che si tratta di un rendiconto positivo. Proprio le manifestazioni del 27 maggio per il decennale della morte di Umberto Agnelli hanno ricordato qual era il clima che si respirava al Lingotto in quei giorni di fine maggio 2004, quando Marchionne stava per essere nominato nuovo amministratore delegato. John Elkann, numero uno di Exor e di Fiat Chrysler, ha infatti ricordato il merito storico dello zio nell’aver salvato la società di famiglia. «Umberto fu straordinario nel tenere insieme la direzione della famiglia e delle attività del gruppo Fiat. In quel momento di grande difficoltà era necessario avere un punto di riferimento forte e lui lo fu. Allora eravamo isolati, c’erano tante perone che avevano lavorato per noi e si erano rivelate deludenti anche dal punto di vista umano», ha detto il nipote dell’Avvocato Agnelli riferendosi al mondo bancario e all’ex amministratore delegato Giuseppe Morchio, che dopo la morte di Umberto cercò di assumere anche la carica di presidente (non permesso dalle regole di governance della società) e fu per questo allontanato dalla casa torinese.
Insomma, quando Marchionne arrivò al Lingotto su nomina proprio di Umberto Agnelli (come ha ricordato martedì scorso il presidente d’onore di Exor Gianluigi Gabetti), la famiglia Agnelli aveva da non molto sventato il tentato golpe di Morchio e aveva la necessità assoluta di rilanciare la Fiat. Marchionne ripartì da tre punti cardine: la rinuncia degli Agnelli all’esercizio della put option a General Motors che fece incassare al Lingotto 1,55 miliardi; il convertendo siglato con i maggiori istituti di credito italiani; il controverso swap Ifil Exor che consentì alla dinastia torinese di mantenere il controllo della Fiat. Negli anni seguenti, complice l’ottimo andamento delle vendite sul mercato europeo e il boom delle immatricolazioni in Brasile (dove il Lingotto aveva una leadership sul mercato che tuttavia non era redditizia per le difficoltà intrinseche dell’economia brasiliana), la Fiat nella seconda parte del decennio 2000-2010 fece segnare una notevole ripresa in termini di redditività e di risultati di bilancio. È il periodo della luna di miele di Marchionne con i sindacati italiani, che vedevano in lui una forma diversa di manager rispetto ai nomi del passato. L’intesa tuttavia non durò a lungo, in quanto il manager arrivato dal Canada si rese conto presto che l’Italia e l’America Latina non potevano sostenere a lungo i conti della casa torinese. È in quei mesi che Marchionne realizzò che il salto di qualità era necessario e non più procrastinabile. Nel dicembre 2008 il manager dichiarò che il settore si stava sempre più globalizzando e che per resistere alla competizione sarebbe stato necessario crescere di stazza, tanto più, spiegò, che solo quei gruppi che riusciranno a fabbricare 6 milioni di automobili l’anno saranno in grado di resistere nel futuro. Nessuno ne era a conoscenza, ma quelle dichiarazioni erano il segnale del colpo che il manager aveva in canna: il 20 gennaio 2009 la Fiat annunciò un accordo con l’amministrazione statunitense per entrare nel capitale di Chrysler.
Era una mossa senza ritorno. Con l’acquisizione di Chrysler (la scalata terminerà il 1° gennaio 2014) la Fiat diventò infatti un gruppo che oggi opera su scala mondiale e che quindi può sperare di ritagliarsi un futuro tra i grandi del settore. Tanto più che Chrysler, con la ripresa del mercato nordamericano, si è subito dimostrata la gallina dalle uova d’oro del nuovo gruppo, riuscendo a controbilanciare la crisi di vendite che ha colpito il Vecchio Continente. Iniziarono qui tuttavia i nodi sul fronte italiano, visto che non fu difficile capire come la testa del nuovo gruppo, in un futuro non tanto lontano, sarebbe stata destinata a lasciare l’Italia. La tensione si è acuita nell’aprile 2010, quando fu svelato il cosiddetto piano Fabbrica Italia, che doveva portare a investire 20 miliardi negli impianti italiani ma che infine venne bloccato sopraffatto dalla crisi. Il risultato fu che la luna di miele con i sindacati italiani diventò un ricordo, mentre i vari tentativi di rilanciare il brand Alfa Romeo sono falliti irrimediabilmente. Da questi nodi e dai risultati ottenuti Marchionne riparte ora con il nuovo piano industriale, svelato un mese fa negli Stati Uniti. Se riuscirà a raggiungere gli obiettivi, il manager, che nei fatti si è già guadagnato un posto nella storia della casa torinese, potrà concludere il proprio mandato dichiarando non solo dio aver sconfitto lo scetticismo strisciante, ma anche di aver reso la Fiat un gruppo automobilistico globale capace di competere nel mondo.

Luciano Mondellini, MilanoFinanza 31/5/2014