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 2014  maggio 31 Sabato calendario

COCCOLE DANNOSE COME I CEFFONI


da Berlino

Una madre perde il figlio perché lo vizia troppo. Lo ha deciso lo Jugendamt, l’ente per la tutela dei giovani, da non confondersi con il nostro tribunale dei minorenni. Le coccole eccessive sono dannose come ceffoni e altri maltrattamenti, hanno deciso i funzionari che da noi in Italia godono di cattiva fama. Non sempre a ragione.
È stata tempo fa la signora milanese Marinella Colombo a scatenare i nostri media sullo Jugendamt: separata dal marito, aveva violato la legge portando i due bambini in Italia, rischiando una condanna a cinque anni. Il padre, controllarono anche le nostre autorità, li trattava benissimo, e i due piccoli erano contenti di vivere con lui. La madre li rapì ancora nascondendoli in un paese dell’est: meglio vivere isolati e perdere la scuola che essere allevati da un papà tedesco e, quindi, «nazista». Ma la signora fu condannata anche dai giudici milanesi.
Le madri non sempre hanno ragione, über alles. Lo Jugendamt, che non fu creato dai nazisti ma risale all’inizio dell’altro secolo, di solito finisce sotto accusa perché non difende abbastanza i bambini maltrattati, e spesso interviene troppo tardi dopo la morte del figlio, a causa di percosse o di denutrizione. Nel caso di Claudia Renneberg, 33 anni, i funzionari hanno esagerato? Secondo loro, la madre «coccola troppo», e ha creato una malsana dipendenza nel piccolo Timon, di 4 anni. Viziare un bambino può bloccare il suo sviluppo, e le conseguenze si vedranno in età adulta. Stiamo entrando in un terreno minato dai pregiudizi.
In Germania si criticano i genitori italiani che sarebbero iperprotettivi, e noi facciamo altrettanto nei confronti delle Mutti teutoniche che sarebbero troppo fredde. Quando arrivai per la prima volta a Amburgo come corrispondente, mia figlia aveva quattro anni. La portammo al cinema allo spettacolo delle 20. La maschera cercò di dirmi che non era permesso. «Ma è un film di Walt Disney», replicammo.
Lei, una signora matura e comprensiva, lasciò perdere. Non avevo capito: qui è proibito condurre bambini troppo piccoli agli spettacoli serali. Io mi meravigliai nel vedere scolari di sette o otto anni andare a scuola da soli.
Erano così piccoli che non vedevano la strada, e mi chiedevano dove eravamo giunti per scendere. Ora non avviene più: i bus hanno vetri panoramici, e la fermata viene annunciata da una voce registrata.
Però i bambini vanno sempre per strada da soli. Quando lo scrissi in libro, una studentessa tedesca che stava compilando una tesi sui rispettivi pregiudizi tra i nostri paesi, commentò, bontà sua, che il mio saggio era il più obiettivo, tra tanti, ma anch’io ero vittima di luoghi comuni quando criticavo i genitori tedeschi. La tesi della ragazza mi gratifica, ma penso che esageri anche lei. Come lo Jugendamt? Difficile giudicare da lontano.
Il piccolo Timon è stato affidato al padre, Frau Claudia come Marinella l’ha rapito, e l’ha portato all’est. Poi è ritornata, e il piccolo è stato affidato a un’altra famiglia. Meglio gli estranei della madre o del padre? Il caso viene riportato con risalto dallo Spiegel, e non è ancora giunto a una conclusione. Temo che, qualunque sia, non soddisferà tutti.
I pregiudizi sono per sempre. Un’estate, da padre single, andai con mio figlio Gualtiero di otto anni in un Club vacanze. Non mi piacciono, ma pensai che fosse l’unico modo perché lui trovasse amichetti con cui giocare. La sera, a cena, con i tavoli disposti intorno alla piscina, Gualtiero e i suoi coetanei si rincorrevano sul bordo della vasca. Cadrà in acqua?, pensai, chissà se sa nuotare vestito, altrimenti mi toccherà tuffarmi per salvarlo. Cadde in acqua, sapeva nuotare, e io mi chinai per tirarlo fuori. Non gli dissi nulla, tranquillo e soddisfatto lui andò a cambiarsi. Tornai al mio tavolo e sentii le madri d’Europa, in tutte le lingue che conosco, dal Mediterraneo al Baltico, commentare scandalizzate: «Ecco che cosa capita ai bambini affidati ai padri». A volte cadono in acqua, ma se tutto finisce in una risata, crescono senza complessi, e senza paura di annegare.

Roberto Giardina, ItaliaOggi 31/5/2014