Lopes Pegna, La Gazzetta dello Sport 2/6/2014, 2 giugno 2014
BELINELLI, PRIMO ITALIANO IN FINALE NBA: «NON ME NE RENDO ANCORA CONTO»
Alzi la mano chi l’altra notte non si è fatto tradire da un briciolo di emozione, vedendo Marco Belinelli alle spalle di Peter Holt, mentre il proprietario degli Spurs ringraziava i suoi attempati ragazzi per l’ennesima finale. Aveva lo sguardo un po’ intontito, il Beli, di chi ancora doveva rileggersi con la dovuta calma ciò che stava stampato sul cappellino grigio appena consegnato: The Finals. Già, le Finali Nba. Il primo italiano ad arrivarci. Impensabile solo fino a pochi anni fa. Era il suo obiettivo. Anzi, no. Quello vero è il titolo, sognato fin da quando era un bambino e insieme ai fratelli nella casa di San Giovanni in Persiceto, Bologna, tirava mattina per ammirare Michael Jordan e i suoi Bulls mentre s’infilavano un anello dopo l’altro.
Alzati «Stavamo in piedi a vedere The Finals e adesso le giocherò. Ragazzi, sinceramente non riesco ancora a rendermi bene conto di quanto mi sia accaduto» racconta. Aggiunge: «E’ una sensazione assolutamente indescrivibile: sollevare il trofeo della Western Conference, sono senza parole». Poi la dedica: «So che in tanti in Italia sono stati alzati fino a notte fonda per fare il tifo. A loro dedico questo successo».
Minuti Di cui si sente parte importante. Perché non devono certo ingannare i sei minuti in cui è rimasto sul parquet in gara-6 (3 punti, una tripla e due ottimi interventi difensivi): li ha giocati nel quarto periodo e in un momento cruciale della partita, quello che se non hai la stima di coach Popovich resti in panchina. Dice: «E’ il sacrificio richiesto quando sei in una squadra vera. Pop mi parla, mi dice di star tranquillo, di essere aggressivo. Trasmette grande fiducia a me e a tutti gli altri. Mai avuto un allenatore così bravo».
E’ il modo in cui Belinelli esprime la felicità di trovarsi qui: «Perché si gioca un grande basket. Il trionfo in gara-6 è il successo del gruppo. Abbiamo vinto senza Tony Parker per tutto il secondo tempo (distorsione a una caviglia, dovrebbe essere ok per gara-1, ndr .). Tutti hanno contribuito e tutti ci sentiamo protagonisti: è il motivo per cui gli Spurs sono amati». E, ora, basta nominargli Miami per far risalire immediatamente l’adrenalina: «Gli Heat non stanno simpatici né a me né agli altri. Sarà una bellissima finale. La perfetta occasione per dimostrare che l’anno scorso doveva finire diversamente. Io non ero ancora qui, ma ho compreso il dolore provato dai miei compagni. Ve lo posso garantire: c’è davvero tanta carica in noi in vista di queste finali».
Passione Dice: «Ve l’ho ripetuto spesso: per me il basket è amore e passione. E senza questi due elementi, a cui aggiungo il duro lavoro, non sarei mai potuto arrivare fino a qui». Ha cambiato maglia cinque volte in sette stagioni, il Beli. Ha fatto il giro d’America pur di salire ogni anno un piccolo gradino. Così, quando la scorsa estate gli squillò il telefonino e dall’altra parte del filo c’era Popovich che lo convocava a San Antonio, capì di avercela fatta.