Pierfrancesco Archetti, La Gazzetta dello Sport 2/6/2014, 2 giugno 2014
BIERHOFF: OCCHIO ITALIA
Infortuni, incidenti, polemiche, vandalismi: stavolta il ritiro italiano della Germania non è stato così tranquillo come nel passato e il lavoro di Oliver Bierhoff, manager della nazionale, ha riguardato la rincorsa degli avvenimenti fuori dal campo: «Veniamo in Italia dal 2006 — Sardegna, Sicilia, due volte qui — e troviamo sempre cordialità, disponibilità, ottime condizioni. Il lavoro in Alto Adige è stato calcisticamente valido»
Il resto non sembra.
«Con Grosskreutz che ha fatto pipì nella hall di un hotel siamo stati chiari, non tolleriamo più certi comportamenti. Il tragico incidente durante uno spot del nostro sponsor ci ha colpito profondamente, siamo sempre in contatto con la famiglia del ferito più grave (è in coma indotto, n.d.r.), speriamo che guarisca presto. Forse certe azioni di Pr andranno ripensate, ma il calcio ha anche un aspetto commerciale. Sono sicuro invece che gli infortunati sul campo saranno pronti. Neuer, Lahm, Schweinsteiger ci aiuteranno in Brasile».
Nei 10 anni della vostra gestione avete centrato molti obiettivi: ricostruzione, identità tattica, gioco spettacolare e integrazione sociale. Non il più importante, un titolo. Perché?
«Nel 2006 e 2008 abbiamo perso contro Italia e Spagna che avevano qualcosa di più. Già nel 2010 era più possibile, ci ha castigato un corner in semifinale con la Spagna. All’Euro 2012 sentiamo ancora di avere buttato la partita. Giuste o sbagliate formazione e tattica, con l’Italia abbiamo perso per due errori individuali».
Anche ora l’incrocio con gli azzurri può avvenire solo in semifinale. Preoccupati?
«No. Se si avvicina l’Italia il nostro obiettivo è di cancellare nella testa, e non solo, la maledizione».
Ma l’Italia non le sembra un poco precaria?
«Per questo è pericolosa. Non va al Mondiale dicendo che è favorita, però ha sempre qualcosa da proporre».
Rimane l’idea che lo zenit per questa vostra generazione fosse il 2012.
«Lo slogan era: è ora. Quindi lo pensavamo pure noi. Invece siamo usciti con gli azzurri. Ma ci siamo messi a lavorare subito, 18 mesi fa, per aggiungere il 5% che ci mancava: concretezza, efficienza, saper chiudere le gare».
L’avete trovato?
«Come gruppo siamo più avanti. Quelli del nucleo storico da 10 anni, Mertesacker, Lahm, Schweinsteiger, Podolski sanno che è l’ultima occasione per prendere un Mondiale. La generazione successiva, Özil, Khedira, Reus, Götze ha molta più esperienza rispetto al 2012 per sopravvivere nei momenti delicati di un torneo».
E’ vero che hanno costruito il resort del ritiro per voi?
«No. E sono stato sospettato di favoritismi perché l’imprenditore che sta costruendo è tedesco, ma il mio lavoro è conoscere le persone.Il ritiro deve essere un ambiente giusto, dove nasce tutto. Dovevo dare nuovi stimoli ai giocatori: tanti posti che ho visionato erano già stati “usati” 100 volte dai giocatori con i club o la nazionale. Il villaggio sul mare di Santo Andrè era già previsto, sarebbe stato edificato anche senza di noi. Abbiamo soltanto chiesto alcune modifiche: 12-13 abitazioni, sei giocatori in un bungalow, spero serva a creare ambiente di gruppo».
Ma come li dividete: per club, per ruolo, per età? Sei teste diverse vanno anche selezionate per affinità?
«Facciamo decidere il consiglio della squadra, ci sembra la via migliore: questa generazione va sempre stimolata per prendere iniziative. Ogni casa ha un capitano responsabile, un solo frigo in comune. Metterò anche le bocce, faremo gare fra bungalow».
Le bocce? Sport antico, per chi usa i social.
«Non proibiremo i social, basta che si rispettino compagni e rivali. Ma anche le bocce servono per stare insieme».
La Cancelliera, che ha sempre un occhio di riguardo per lei, come sta?
«Bene, è tranquilla, ha altri problemi ma è sempre vicina alla squadra, verrà a trovarci anche in Brasile».
Il suo amico Albertini lascia, lei cosa fa dopo il Mondiale?
«No, non smetto. Io ho un contratto fino al 2016 ed è importante far vedere che mantengo la parola. Con la federazione stiamo cambiando mentalità al calcio tedesco. Non ho ancora finito».