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 2014  giugno 02 Lunedì calendario

La Banca d’Italia ha remunerato i detentori delle sue quote di capitale con 380 milioni contro i 70 dell’anno precedente

La Banca d’Italia ha remunerato i detentori delle sue quote di capitale con 380 milioni contro i 70 dell’anno precedente. La decisione non era ovvia. Anche perché la Bce, nell’accogliere la riforma, aveva raccomandato di rafforzare le riserve. D’altra parte, quando in Senato chiesi esplicitamente al governatore Visco e al ministro Saccomanni quale sarebbe stato il dividendo di quest’anno, posto che il valore di 7,5 miliardi dato alla banca centrale era calcolato partendo da un dividendo di 450 milioni, ebbi risposte vaghe. Sappiamo bene che non si potevano, allora, dare cifre precise, ma via Nazionale, in quei giorni, lasciava presagire un incremento modesto del dividendo, diciamo sui 100 milioni. MASSIMO MUCCHETTI ROMANO PRODI MASSIMO MUCCHETTI ROMANO PRODI Senonché un dividendo dell’1% netto non avrebbe indotto alcun investitore istituzionale ad acquistare le quote, pari ai due terzi del capitale di Banca d’Italia, che Intesa Sanpaolo, Unicredit, Mps, Carige, Generali e Inps devono vendere per rispettare la soglia statutaria del 3%. Certo, la legge prevede che la Banca d’Italia possa acquistare le quote invendute per ricollocarle poi. Ma un tale acquisto deve avvenire a prezzo di mercato. E allora qualche transazione dovrebbe pure avere luogo, possibilmente con decenza e frequenza. Altrimenti la Banca d’Italia si caricherebbe di quote proprie illiquide, magari in misura superiore al 10% previsto per le Spa quotate, titoli che dovrebbe pure svalutare. Insomma, un bel pasticcio. Visibile a occhio nudo fin da subito. Ma il governo Letta non volle vedere. E le opposizioni erano troppo impegnate in una battaglia verbale e demagogica per cogliere il punto che avrebbe aperto loro un’autostrada. Il nodo era così reale che nelle banche si temeva di commettere un falso in bilancio attribuendo a quote invendibili la rivalutazione ufficiale, sulla quale, peraltro, pagavano l’imposta. Luigi Federico Signorini, Salvatore Rossi, Ignazio Visco Luigi Federico Signorini, Salvatore Rossi, Ignazio Visco Adesso, con il dividendo di 380 milioni, che regala un rendimento del 5% sul valore di rivalutazione di 7,5 miliardi, la Banca d’Italia cerca di tranquillizzare i potenziali acquirenti. Basterà? Al momento non una quota è passata di mano. Ora la mossa via Nazionale l’ha fatta. Altra non ne ha. Se il mercato delle quote non parte avremo un problema serio. La norma lascia tre anni di tempo, ma sei mesi rappresentano un periodo già sufficiente per capire quel che si deve capire su quella che di fatto, è un’offerta di titoli a un pubblico selezionato. I potenziali acquirenti, in primis le fondazioni, di origine bancaria, si chiederanno se questo rendimento del 5% possa essere credibile non solo a valere sul bilancio 2013 ma anche su quelli futuri. IGNAZIO VISCO IGNAZIO VISCO Correttamente, Ignazio Visco, ha avvertito che il dividendo verrà deciso sulla base dei risultati annuali e delle esigenze patrimoniali. Dunque, zero garanzia. Basterà la speranza supportata da una moral suasion? I conti della Banca d’Italia consigliano cautela. Il 2013 è stato un anno buono, ancorché il valore delle riserve auree sia crollato da 99 a 68 miliardi e con esso siano molto diminuiti i conti di rivalutazione (che recepiscono le plusvalenze implicite sui lingotti) da 87 a 54 miliardi. Il 2013 si è chiuso con un utile ufficiale di 3 miliardi, contro i 2,5 dell’esercizio precedente. Ma il vero risultato della Banca d’Italia è il risultato lordo che viene ripartito tra la banca stessa, lo Stato e i quotisti. Nel 2012, esso era formato dall’attribuzione alle riserve statutarie del loro proprio rendimento (478 milioni), dall’accantonamento al fondo rischi generali (2645 milioni) e dall’utile prima delle imposte (4428 milioni). FEDERICO GHIZZONI FEDERICO GHIZZONI Nel 2013, essendo stata abolita l’attribuzione a riserve del rendimento delle medesime, restano l’utile prima delle imposte (4678 milioni) e l’accantonamento al fondo rischi generali (2183 milioni). Come diceva Totò, è la somma che fa il totale. E il totale da ripartire è di 6,8 miliardi l’anno scorso contro i 7,5 dell’anno precedente. Dunque, il 2013 è andato meno bene, ancorché si collochi molto al di sopra degli esercizi 2011, 2010 e 2009. A voler esser pignoli, il risultato del 2013 è stato aiutato anche dalla plusvalenza realizzata sulla partecipazione Generali passata alla Cdp sulla base di una valutazione di massima di 766 milioni. Come è stato dunque ripartito il risultato lordo? Nel 2012 (come quasi sempre in passato), la Banca d’Italia aveva preso la fetta più grande. Tra attribuzione alle riserve del rendimento delle medesime, accantonamento a fondo rischi generali e attribuzione a riserve del 40% dell’utile netto, si era assegnata 4123 milioni per rafforzare il patrimonio. Nel 2013, invece, la Banca d’Italia riesce a trattenere 2941 milioni. Lo Stato tra imposte e attribuzione dell’utile residuo sale da 3427 a 3532. ALESSANDRO PROFUMO E FABRIZIO VIOLA ALESSANDRO PROFUMO E FABRIZIO VIOLA I privati passano da 70 a 380 milioni. Senza la privatizzazione (ricordiamo che il governo Letta ha revocato la norma che prevedeva la pubblicizzazione della banca centrale), in un esercizio meno buono e comunque sostenuto da proventi straordinari come quelli di Generali, la Banca d’Italia ha lasciato uscire 400 milioni in più rispetto al 2012. A questo punto i casi sono due: o il rafforzamento patrimoniale uber alles è una mania di via Nazionale o è un obiettivo davvero prioritario. Nel primo caso, lo Stato dovrebbe rivedere tutta la storia e riallineare la consistenza patrimoniale della Banca d’Italia alle consorelle europee paragonabili (i modi si trovano). carlo messina e moglie carlo messina e moglie Nel secondo, ammesso e non concesso che il mercato delle quote si crei, ci dovremmo chiedere se questo mercato non si sarebbe potuto creare meglio con una valutazione molto più bassa e meno fiscalmente onerosa del capitale della Banca d’Italia, che avrebbe consentito un monte dividendi proporzionalmente inferiore e magari un pò più certo. Se poi lo Stato avesse avuto bisogno di soldi per l’Imu o per gli 80 euro, li avrebbe potuti prelevare direttamente dalla Banca d’Italia sotto forma di residuo dell’utile che gli spetta per legge, diminuendo per un anno gli accantonamenti al fondo rischi generali e alle riserve statutarie, senza compiere questi giri complicati e pe