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 2014  giugno 01 Domenica calendario

LA MUSA A BRUTTO MUSO CHE STREGÒ FREUD E LOWELL


Una quindicina d’anni dopo la scomparsa di Lady Caroline Blackwood, il giorno di San Valentino del 1996, sua figlia Ivana Lowell, erede della gloriosa dinastia angloirlandese dei Guinness, decise di scrivere un’autobiografia: Why Not Say What Happened? (Perché non raccontare quel che è successo?). La nonna era una di tre sorelle ricchissime, egoiste e spocchiose, che finì per sposare un marchese da cui ebbe tre figlie, tra cui Lady Caroline, la maggiore, nata nel 1931. Le crebbe con tate affette da bullismo e con totale indifferenza, tanto che, diceva Ivana, «mia madre passò il resto della sua vita cercando di sfuggire al mondo vuoto e crudele della sua infanzia aristocratica». Un’infanzia in cui i fantasmi erano il minore dei mali: la nonna credeva allo stesso tempo nelle fate e nel potere esorcizzante dello sbattere la testa del suo nipotino contro una pietra il giorno del battesimo. Caroline crebbe terrorizzata dalle visite alla bisnonna che aveva una cameriera con un occhio solo e un maggiordomo con una sola gamba.
Sarà stato in ricordo di quegli agghiaccianti pomeriggi alla residenza di famiglia a Clandeboye, Irlanda del Nord, che, giunta all’età del debutto in società, Lady Caroline scartò conti e duchi cui era destinata in moglie e s’innamorò di un pittore, un certo Lucian Freud, con il quale fuggì. Lui aveva le qualità perfette per incarnare lo schiaffo fatale all’orgoglioso sangue blu di nonna e zie Guinness: era sposato, spiantato ed ebreo. A guardarli nella foto del 1949 che li presenta belli, misteriosi e colti, sembra aristocratico quanto lei. Ma la marchesa madre non sapeva nemmeno chi fosse Sigmund Freud e Lucian non muoveva un dito per farsi voler bene: beveva, giocava d’azzardo e bazzicava gangster.
E sarà stato in ricordo di quegli agghiaccianti pomeriggi alla residenza di famiglia a Clandeboye che Lady Blackwood diede alle stampe nel 1977 il romanzo-confessione Mrs Webster , che arriva ora nella traduzione di Elena Bollati (Elliot, pagg.
196, euro 16). Una galleria grottesca che ricorda i memoir di Edward St Aubyn: gli anni con la bisnonna arcigna e ostinatamente infelice; i racconti dei tentati suicidi della zia Lavinia: «Avevo pianificato tutto alla perfezione, tesoro... Ero nella mia vasca da bagno, con una bottiglia di whisky per farmi coraggio e il mio rasoio scintillante.C’è qualcosa di terribile nel ritrovarsi in una vasca piena di sangue e sapone disciolto »; la condanna a vita del matrimonio-prigione della nonna, che la conduce a una follia piromane.
Un mondo di sofferenze sinistre e perverse, la cui memoria Caroline combatte con un’oscura energia creativa, eversiva e ironica che la avvicina a Lucian Freud più di ogni altra. Fu sua musa nell’arte-a partire dagli ipnotici Girl in Bed e Girl in a Green Dress del 1952 in cui la ritrae - e nello squilibrio: quando fuggì con Lucian aveva abbastanza denaro per pagarsi un anno di luna di miele a Parigi in hotel, acquistare casa a Londra, in campagna e un cavallo per allietare i weekend del marito. Eppure entrambi vivevano nello squallore più assoluto. Quando la coppia andava in visita - e ci andavano spesso, perché negli anni Cinquanta lei era diventata una figura centrale della mondanità londinese gli amici coprivano i mobili e nascondevano gli oggetti di valore e Caroline era famosa per non lavarsi mai: «Avrebbe bisogno di una bella sgrassata » diceva di lei Ian Fleming, la cui moglie, Ann, aveva presentato Freud a Caroline. Fino alla fine dei suoi giorni, la Blackwood è rimasta sulle liste nere dei migliori hotel del mondo: a colpi di cenere, bottiglie di vodka, specchi rotti e asciugamani insanguinati era in grado di distruggere una camera a tempo di record.
La straordinaria vita di Lady Blackwood non si esaurì con il divorzio da Lucian nel 1958. Anzi: si trasferì a New York dove fu attrice a Hollywood e conobbe il suo secondo marito, il pianista Israel Citkowitz, da cui ebbe tre figlie; un amante illustre come Robert Silvers, fondatore della New York Review of Books e, nel 1972, il suo terzo coniuge, il geniale, ossessivo, maniaco-depressivo poeta Robert Lowell, che la spinse a scrivere il suo primo libro. In quegli anni Caroline bevve, si circondò di hippy, coltivò marijuana in giardino, scrisse. Per le figlie, fu assente. Le affidò alle tate, le espose alle molestie dei fidanzati delle tate e a incidenti domestici di inaudita violenza. Nonostante il finale bohémien, i ricordi degli agghiaccianti pomeriggi alla residenza di famiglia a Clandeboye avevano comunque preso il sopravvento.