Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  maggio 31 Sabato calendario

I (POCHI) VANTAGGI DELL’INFLAZIONE BASSA


Ignazio Visco, nella sua Relazione annuale, è stato chiaro: noi in Italia dovremo vivere in regime di bassa inflazione. Sino al 2019 la nostra inflazione media annua sarà sotto il 2 per cento. Nel 2014 sarà soltanto lo 0,8% per salire allo 1,1%, nel 2015 e allo 1,7 nel 2016, arriverà al 2% nel 2017, per scendere allo 1,9 nel 2018 e allo 1,5 nel 2019. La media dei sei anni è l’1,5%. Per la Germania si prevede una inflazione media per i sei anni dello 1,83%: più alta di quella dell’Eurozona, che sarà al 2,5%. Gli economisti spesso sbagliano le loro previsioni, ma questa volta si tratta di previsioni concordanti (o consensus economics ). La Germania ha una situazione di pieno impiego della forza lavoro e tende a una inflazione superiore alla media di Eurozona, ma così frenerà la Bace, condizionata dalla Germania in modo improprio. E quello che Draghi fa con questa politica è il massimo che può ottenere. Dalla Relazione di Visco si capisce che la Bce sarà in grado di tornare al 2% solo dal 2020.
Nel recente passato l’inflazione per l’Eurozona ha oscillato fra il 2 e il 2,5%, mediamente lo 0,7 in più di quello che ci capiterà in questi anni.
Nel 2011 il nostro tasso di inflazione fu il 2,9 mentre nell’area euro era stato il 2,7. Nel 2013 il nostro tasso di inflazione salì al 3,3% mentre nell’area euro scendeva al 2,5%. In Germania nel 2011 era stato del 2,5% e nel 2013 del 2,1. In Francia del 2,3 e del 2,2. Eravamo sopra la media a causa della vischiosità dei prezzi al consumo e degli aumenti dei costi del lavoro, non compensati dagli aumenti di produttività, cioè da rendimenti adeguati del lavoro per unità di prodotto e da rincari di imposte. Dobbiamo togliere di mezzo questi tre fattori se vogliamo render compatibile la bassa inflazione con una riduzione della disoccupazione e con una crescita del Pil e della produzione industriale maggiore di quel misero 0,6 che ci tocca quest’anno. Serve dunque il salario di produttività con i contratti aziendali.
Il governo Renzi non lo ha ancora capito, ma la Confindustria comincia a farlo. D’altra parte la bassa inflazione accresce il potere di acquisto dei redditi ma riduce il rendimento dei titoli a reddito fisso, lo spread dei nostri titoli pubblici, perché la nostra inflazione scende di circa 0,7 punti rispetto al passato e si eguaglia alla media dell’Eurozona con la Germania un po’ sopra. Ciò riduce la spesa per interessi sul debito pubblico. Il basso tasso di interesse facilita gli investimenti pubblici, che però sono frenati dalla burocrazia e dal sistema antiquato di appalti. Ma anche il rendimento dei titoli privati scende proprio mentre si aumenta in modo perverso la cedolare secca a loro carico. La bassa inflazione riduce la crescita del gettito fiscale dato che esso - ad aliquote invariate - tende a essere proporzionale alla crescita del Pil monetario. Con un tasso di inflazione dello 1,1 anziché del 2% i nostro gettito fiscale sarà minore di 0,9 punti pari a 14 miliardi rispetto a quello che ci sarebbe con inflazione 2%. Ma anche le spese pubbliche con una bassa inflazione dovrebbero risultare meno costose.
Il governatore Visco stima a 14 miliardi il buco di entrate del bilancio di previsione di Renzi. Li ricerchi contenendo la spesa. La bassa inflazione implica di ragionare con la parsimonia di uscite. Può essere un’occasione per esser più virtuosi, con meno tic di falsa socialità.