Claudia Casiraghi, Libero 1/6/2014, 1 giugno 2014
LA SERIE CHE RENZI DOVREBBE VEDERE
Di immigrati ed emigranti si fa un gran parlare. I dibattiti politici si susseguono frenetici, spaccando in due non l’Italia sola ma il mondo intero. Polemiche e invettive affollano i canali d’informazione, dai giornali alle televisioni, ma mai nessuno ha pensato di poterne fare il nucleo di una serie tv. Fino al 2012, quando dalla Svezia è sbarcata in diverse parti dell’Europa una serie dal titolo di Akta Manniskor, Real Humans in inglese.
Ideata da Lans Lundström, la produzione svedese ha cambiato in maniera notevole i tratti del parlar politico televisivo. Di serie che raccontano scandali e retroscena dei governi mondiali ce ne sono ormai a non finire. House of Cards, capolavoro di Netflix, ha fatto innamorate persino il presidente Obama, mentre Scandal, Newsroom, The Wire e via dicendo hanno portato Renzi a vagheggiare di improbabili scenari futuri in cui accanto alla formazione politica tradizionale ne esiste una fatta esclusivamente di serie tv.
Tuttavia Real Humans di «bombe» fittizie non ha alcun bisogno: la sua forza risiede nell’uso che fa di disagi e problematiche attuali, demistificate e poi adattate all’universo immaginario creato da Lundström, fantascientifico solo per modo di dire.
Nonostante infatti la sua Svezia sia in parte popolata di Hubots, esseri meccanici perfettamente identici agli umani, si presta benissimo al gioco narrativo architettato da Lans, diventando copia dei tanti Paesi lacerati dallo scontro tra immigrati e xenofobi. La sola differenza è che gli Hubots sono stati creati dagli svedesi stessi, convinti di poter delegare loro la gestione dell’aspetto più faticoso del vivere collettivo. Tate, donne delle pulizie, idraulici e muratori.
Gli Hubots svolgono in maniera acritica qualsiasi mansione. In cambio chiedono poco: niente soldi né garanzie, solo una presa di corrente a cui potersi attaccare di tanto in tanto per recuperare forze e vitalità.
Descritta in questo modo, la società creata dagli svedesi di Lundström potrebbe sembrare tanto perfetta da risultare utopica.
Uomini e robot uniti gerarchicamente a creare un universo armonico, suddiviso in governanti, gli uomini, e governati, gli Hubots. Ma Real Humans fortunatamente non si arena nel quieto vivere televisivo. Le due stagioni andate in onda finora racchiudono una critica spietata al vivere moderno, all’esistenza ancora oggi di minoranze bistrattate dalla parte dominante della società.
Indignazione, paura, smarrimento e xenofobia si mescolano così nel mondo di Lundström portando la storia laddove mai nessuno prima d’ora aveva osato spingersi. Sfruttati e maltrattati gli Hubots sono la trasposizione mediatica dei nostri immigrati, di tutti quei gruppi costretti a vivere ai margini della comunità. Il loro essere è abusato dagli uomini, colpevoli di aver messo n piedi una tratta degli androidi finalizzata al soddisfacimento dei propri istinti più infimi. Il mercato nero prolifera, soffocando il naturale commercio di robot, già devastato dagli usi poco ortodossi che gli uomini ne fanno. Prostitute, soldati senza scrupoli, gli androidi, docili e obbedienti per natura, sono le creature ideali per diventare marionette alla mercé di cattiveria e avarizia umane, sollevando parimenti la domanda che più risuona tra le mura delle nostre città: «Hanno i “diversi” gli stessi diritti di chi è visto come “normale”?».
La domanda non trova risposta nella serie che si limita a mostrare un’umanità divisa in apocalittici, convinti che gli androidi saranno causa di un futuro distopico, e integranti.
«Real Humans ci interpella su tematiche che sono assolutamente umane: la libertà, l’incertezza, il sesso», scrive Cécilia Hopital su L’Express, puntando il dito verso quella mescolanza delle razze così bene esorcizzata da Lundström nel corso della narrazione.