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 2014  maggio 31 Sabato calendario

PER CAPIRE MARINE LE PEN BASTA SAPER LEGGERE


In Francia come in Italia c’è un nuovo mestiere che sta andando molto forte: il lepenologo. Ovvero quello che deve andare nelle migliori famiglie a spiegare come sia potuto accadere che il Front national sia il primo partito nella patria degli immortali princìpi rivoluzionari. In genere c’è una scappatoia intellettuale frequente: citare Zeev Sternhell, lo storico israeliano che ha spiegato come il fascismo si sia affermato, sì, in Italia e Germania, nascendo però da una lunga incubazione intellettuale francese. Tesi in cui c’è molto del vero, se parliamo di storia, ma che ovviamente nulla ha a che fare con le vittorie del partito di Marine Le Pen, al quale viene del resto accostata in termini più morali che scientifici. Della serie: «Il ventre che ha generato la bestia immonda è ancora fecondo», per citare l’abusato Bertolt Brecht.
Ci sono in compenso altri libri recenti che il lettore curioso di capire cosa sta accadendo in Francia può andare a leggere. Il primo è uscito da pochi giorni e riguarda proprio le letture distorte del fenomeno lepenista. Si tratta di Du diable en politique. Réflexions sur l’anti-lepénisme ordinaire (Cnrs, 2014), del noto politologo Pierre-André Taguieff. Una requisitoria spietata, un vero atto di accusa intellettuale contro l’intellighenzia antifascista, che per anni ha accuratamente evitato di rispondere politicamente alla sfida posta dal Front national, preferendo piuttosto l’invettiva, l’insulto, la demonizzazione, la paranoia.
Le Pen, per i custodi del graal repubblicano, cessa di essere un cognome umano per diventare il sigillo di un male metafisico contro cui chiamare alla guerra, come ha fatto, e non solo metaforicamente, BernardHenri Lévy. Un male che contagia, cosicché bisogna stare in guardia non solo da Le Pen, ma anche dalla lepenizzazione, che può riguardare tanto la destra moderata che la stessa sinistra. Finisce quindi che una piccola casta di talebani dell’antifascismo può mettere sotto processo l’intera società francese, immaginando un lepenismo ubiquitario che ha i tratti di una vera ossessione. In tutto ciò, occuparsi dei problemi della Francia reale diventa quasi blasfemo. Si crea quindi un vasto proletariato bianco lasciato solo a stesso e che finisce quasi forzatamente per votare Fn. Sono Les Petits Blancs, di cui ha scritto Aymeric Patricot in un libro che ha fatto molto parlare (Éditions Plein Jour, 2013). Si tratta dei francesi stritolati dalla morsa delle élite cosmopolite, benestanti e radical chic i «bobos»: bourgeois-bohème da una parte, e dall’invadenza del proletariato allogeno che affolla le banlieue dall’altro.
È in questo quadro, a partire dagli anni 2000, che una vasta parte della società transalpina «si accorge», per così dire, del colore della propria pelle come dato politico. È un popolo di umiliati e offesi, disprezzato dallo snobismo degli intellettuali e costretto a confrontarsi quotidianamente con il razzismo inverso di arabi e nordafricani, che odiano la Francia e odiano i francesi. «Ho incontrato una ragazzina», ha raccontato l’autore a Le Figaro, «che era la sola bianca della sua classe di seconda e che mi ha confessato di essere caduta in depressione. Tutti i professori, all’inizio di ogni anno, domandavano a ogni studente da dove venisse. La ragazzina aveva la percezione di essere una nullità e si è inventata delle origini per non sentirsi esclusa».
Se sei francese, europeo, non puoi costruire una narrazione sulle tue origini, non sei interessante, non hai quel tocco di esotismo cool (con il risultato che se sei nato nella terra di Vercingetorige, Racine e De Gaulle hai meno da raccontare sulle tue origini di un senegalese, un algerino o un coreano). Sei solo white trash, come dicono in America. Spazzatura bianca. Poi dice che uno si butta con Le Pen. Per capire il fallimento del modello multirazziale francese, del resto, sarà utile leggere anche Assimilation. La fin du modèle français (Ed. du Toucan, 2013), di Michèle Tribalat, demografa dell’Institut national d’études démographiques che ha messo in questione l’approccio progressista all’immigrazione. Ne esce un j’accuse potentissimo: i numeri sui migranti? Tutti truccati. In Francia ci sono sempre meno flussi? Balle. L’Unione Europea? Peggiora le cose. L’islam? Crea problemi all’integrazione. La sinistra? Ha scelto a tavolino di fregarsene delle classi popolari per coccolare gli stranieri e lo ha scritto nero su bianco. «Tenere un discorso positivo sull’immigrazione», spiega nel testo, «è in sé una patente di moralità: avere l’aria di privilegiare l’altro rispetto a se stesso evita di subire le accuse di razzismo sempre pronte a sorgere». Eppure «questa politica avrà un prezzo di cui i cittadini europei non sono ancora completamente coscienti. Quando si delega il proprio destino agli altri, non ci si può aspettare di conservarne il dominio».
Si capisce al volo perché JeanMarie Le Pen abbia proposto di darle la tessera ad honorem del Fn. Si capisce meno perché a fare i conti con la realtà sia rimasto solo il suo partito.