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 2014  maggio 31 Sabato calendario

SHALE GAS IN AMERICA LATINA LA RISPOSTA DI OBAMA A PUTIN


Follow the gas, not only the money... Dopo settimane di ammonimenti alla Russia di non tirare la corda in Ucraina per non essere sanzionata con la perdita del mercato di un’Europa improvvisamente pronta a dimenticare tutte le sue remore sul fracking e sull’importazione di gas dagli Usa, il maxicontratto che Putin è andato a firmare a Shanghai ha ribaltato la frittata, ed è stato Barroso a scrivere al leader russo su Gazprom: «È sua responsabilità assicurare la fornitura dei volumi di gas concordati nei contratti con le compagnie europee». Poi giovedì a Astana Putin ha pure firmato l’accordo per la nuova Unione Euroasiatica, e anche il Kazakistan con le sue enormi riserve è stato saldato alla sfera di influenza russa. Naturalmente, c’è l’allarme per quanto sta accadendo in Libia, che è una fonte di gas alternativa alla Russia, ma in questo momento altrettanto e forse ancor di più a rischio. In contemporanea a queste vicende, ma piuttosto in sordina per quanto riguarda l’attenzione dei media non latino-americani, c’è però pure il braccio di ferro in corso tra l’Amministrazione Obama e il Congresso sulla opportunità di infliggere sanzioni ai funzionari del governo di Caracas, in rappresaglia per la dura repressione in corso in Venezuela.
Lì Maduro ha appena incassato uno schiaffo clamoroso, con le elezioni suppletive indette per far eleggere i successori dei due sindaci dell’opposizione arrestati con l’accusa di aver parteggiato per le proteste. E in entrambe le località sono state elette con voto a valanga le moglie dei due arrestati. Patricia de Ceballos ha avuto il 74% dei voti a San Cristóbal, dove suo marito, condannato a 12 mesi, aveva preso il 67%. Rosa de Scarano ha avuto l’88% a San Diego, dove suo marito, condannato a 10 mesi, aveva preso il 75,24%. Sono 2 dei 213 detenuti ancora in carcere delle miglia di arrestati, che si uniscono a 42 morti e 800 feriti. Ma è una repressione che non ha fermato la protesta contro l’autoritarismo, la corruzione, il degrado dell’ ordine pubblico, l’inflazione al 61%, la carenza di prodotti base. E giovedì la Camera Usa ha appunto votato la legge sulle sanzioni. Non entra ancora in vigore: il Senato ha un progetto diverso, che se approvato dovrà essere armonizzato con quello della Camera. Poi ci sarà necessità della firma di Obama, e malgrado Kerry abbia di recente detto che «con Maduro gli Stati Uniti stanno perdendo la pazienza», la generale attesa è che Obama ponga il veto. Ci sono delle ragioni politiche anche ottime per farlo: gran parte dell’opposizione venezuelana si è infatti impegnata in un negoziato col governo con la mediazione dell’Unasur e del nunzio apostolico, e anche se ora la trattativa è stata sospesa per chiedere la liberazione dei detenuti politici sarebbe probabilmente goffo e controproducente da parte degli Stati Uniti intervenire proprio in questa fase. Ma non c’è solo la politica, Proprio nel momento in cui il gas della Russia e quello del Nordafrica appaiono sia pur per motivi diversi egualmente a rischio, la società petrolifera di Stato venezuelana Pdvsa ha appena annunciato l’intenzione di iniziare la ricerca di shale gas nello Stato di Zulia, che sarebbe poi quello della salgariana Maracaibo. E la Pdvsa sta in una società dove la brasiliana Petrobras ha il 36%, ma alla faccia delle schermaglie con Washington c’è anche la statunitense Williams International Oil & Gas ha il 4%. Poco, ma abbastanza per far capire due cose. Primo: il Venezuela, come d’altronde altri Paesi dell’America Latina, non può fare a meno della tecnologia Usa per lo shale. Secondo: gli Usa non vogliono a lor voglia tagliarsi fuori. Sì: gli Usa puntano a diventare il maggior produttore mondiale di shale gas e shale oil, in modo da poter fare a meno anche del Venezuela. L’Energy Information Agency (Eia) statunitense stima in questo momento la riserva russa di shale oil in 75 miliardi di barili sui 335 mondiali, contro i 48 statunitensi. Mentre nello shale gas sui 7795 tcf (trillion cubic feet) delle riserve mondiali gli Usa ne hanno 665 e la Russia 285. Grazie allo shale gli Usa sono risaliti nella produzione di idrocarburi al punto che secondo Bloomberg se nel 2013 la Russia è stata il primo produttore mondiale di petrolio (10,9 milioni di barili al giorno, 13,28% della produzione mondiale), gli Usa sono stati i terzi (8,453 milioni, 9,97%). E nel gas secondo il World Information ook della Cia già nel 2012 gli Usa sono diventati il primo produttore mondiale con 681.400.000.000 metri cubici, contro i 669.700.000.000 della Russia, seconda.
Ma il Venezuela avrebbe comunque 13 miliardi di piedi cubici di riserve. Non tantissimo, in realtà. Ma abbastanza da meritare di essere tenuto d’occhio, specie in questi momenti. Infatti anche il sottosegretario all’Energia Usa Daniel Poneman è venuto in Argentina a stringere la mano a Cristina Kirchner ed a visitare Vaca Muerta: altro giacimento di idrocarburi non convenzionali che è la grande speranza della presidentessa e in cui pure dopo l’espropriazione della Ypf alla spagnola Repsol è stata chiamata la Chevron.
Probabilmente, l’accordo Russia-Cina induce anche i latino-americani a non sperare di poter tranquillamente puntare troppo sulla sostituzione del mercato cinese a quello Usa.