Fabio Martini, La Stampa 31/5/2014, 31 maggio 2014
“SIAMO PRONTI A GUIDARE LA UE L’ITALIA HA SCELTO LA STABILITÀ GOVERNERÒ PER QUATTRO ANNI”
[Intervista a Matteo Renzi] –
Sin dalla notte della larghissima vittoria elettorale Matteo Renzi si è imposto un understatement e un profilo basso che hanno di nuovo spiazzato tutti e così, anche chiacchierando nel suo studio di palazzo Chigi con i corrispondenti di alcuni dei più importanti giornali europei che gli chiedono di una sua possibile leadership Ue, lui si vieta ogni trionfalismo: «Non credo che il senso delle elezioni sia che è nato il leader Matteo Renzi. No, il senso delle elezioni è che l’Italia può giocare un ruolo, che l’Italia non è l’ultima ruota del carro, che l’Italia è un Paese che, se cambia, può diventare lei leader d’Europa». In jeans scoloriti, camicia bianca senza cravatta, Matteo Renzi mantiene il suo tono scanzonato e a Philippe Ridet de «Le Monde» che gli chiede un pronostico sul mondiale di calcio, lui risponde: «Sono troppo amico di Cesare Prandelli e poi dicono che se l’Italia vince i Mondiali c’è un punto in più di Pil...». Ma la Francia lo ha vinto nel ’98 e non è arrivato nulla...». Renzi: «Facciamo così, noi lo vinciamo e poi controlliamo, io mi accontento anche di mezzo punto!».
Presidente, è la terza volta in due anni che questo pool di giornalisti viene qui a palazzo Chigi: prima c’era Monti, poi Letta, ora lei. Pensa che il prossimo anno ne troveremo un altro? Quale è la ricetta per restare?
«Non so se sia un bene o un male, ma credo che per qualche anno non ne vedrete altri! L’Italia ha scelto la stabilità e per noi stabilità significa fare riforme molto dure e molto forti. Possiamo permetterci di dire che vogliamo cambiare l’Europa perché partiamo da noi. Perché da noi, dopo 70 anni, non si è votato per le Province. Perché la riforma elettorale è stata approvata in prima lettura. Perché la riforma della Costituzione è ben incardinata al Senato. Perché la riforma del lavoro, scandita in due parti, è già avviata; perché la riforma della Pubblica amministrazione sarà attuata il 13 giugno; perché la riforma della giustizia sarà presentata entro giugno; perché il 30 giugno inizierà il processo civile telematico. L’Italia sta profondamente cambiando».
La stabilità consente il cambiamento?
«Sì, anche perché il segnale delle urne non si presta ad equivoci. È la prima volta dal 1958 che un partito prende più del 40 per cento, allora credo fosse al governo Fanfani: 56 anni fa. Più forte di così gli italiani non potevano parlare».
Un voto politico o un atto di fede?
«E’ difficile interpretare i flussi elettorali, a maggior ragione è difficile interpretare le emozioni elettorali. Penso che le due cose stiano assieme. È un atto di fede, basato su un ragionamento politico. C’è un modo tipico di dire, buffo, dei politici italiani che perdono le elezioni: ah, gli italiani non ci hanno capito... Come se fosse colpa degli elettori! Ma rovesciando quel modo di pensare, si potrebbe dire che stavolta sono stati gli italiani ad aver capito noi, più e meglio di quanto non sia stata capace la classe dirigente, i giornalisti, i politici».
Dopo tanti falsi allarmi, stavolta l’Europa sembra davvero al bivio, ripensarsi o rischiare di perdersi. L’altra sera, alla cena di Bruxelles con gli altri capi di Stato e di governo c’era la percezione di questo bivio o sono state espresse preoccupazioni rituali?
«Non so valutare le singole posizioni, io dico che se vogliamo salvare l’Europa, dobbiamo cambiarla. Anche nel nostro Paese, quello con la percentuale più alta di votanti e nel quale si è affermato il principale partito al governo, chi ha votato per il Pd ha comunque chiesto di cambiare l’Europa, non di conservarla come è».
Lei sosterrà la candidatura di Juncker alla presidenza della Commissione europea?
«Il presidente Van Rompuy ha ricevuto un mandato da parte di tutti i governi per trovare un accordo globale, che tenga assieme gli incarichi di maggiore responsabilità. La posizione del governo italiano è molto chiara: nomina sunt consequentia rerum. Prima di ragionare di nomi, mettiamoci d’accordo sull’agenda. Mi interessano più i posti di lavoro che i posti di potere».
Un profilo del leader della Commissione?
«Deve amare l’idea dell’Europa e oggi i veri amanti dell’Europa sanno che così come è, va cambiata. Deve amare l’Europa, ma con uno sguardo da innovatore».
Dopo le elezioni Europee come sono i suoi rapporti con la cancelliera Merkel? E’ vero che durante la cena di Bruxelles lo ha chiamato «il matador»?
«Sì matador, ma non d’Europa! Ci siamo messi a discutere cosa significasse matador, l’origine dell’espressione. D’altra parte ci eravamo sentiti il giorno prima per complimentarci reciprocamente».
Sì, ma ora vi attende un confronto che potrebbe vedervi su sponde opposte...
«Ho un ottimo rapporto con la signora Merkel, ho sempre detto che se l’Italia o altri Paesi hanno dei problemi, la colpa non è dell’Europa. Di più: trovo volgare e inelegante il modo in cui alcune forze politiche hanno cercato di prendere voti, parlando male della Germania. Noi abbiamo preso i voti parlando bene dell’Italia, che però va cambiata. Da questo punto di vista la Germania per me è un modello, non un nemico. Lo è quando penso al mercato del lavoro, o alla sua struttura pubblica. Questo non significa non avere idee diverse su tante questioni. È del tutto evidente che oggi la Germania ha tutto l’interesse che l’Italia corra. E l’Italia ripeterà che l’impostazione di fondo dell’Europa non deve essere centrata soltanto sull’austerità ma anche sulla crescita, l’occupazione e le riforme».
Ogni Paese mette sempre grande enfasi sulla propria presidenza dei semestri europei, ma poi è difficile individuare un semestre memorabile. Lei ha una idea-forte per dare un segno italiano al prossimo semestre?
«Non vorrete mica che ve le dica adesso? Non posso bruciarmi le notizie! So che dal 2 luglio, giorno del mio intervento al Parlamento europeo, il nostro impegno sarà forte anche per la favorevole congiunzione astrale: rinnovo degli organi, soldi della nuova programmazione fino al 2020, necessità condivisa di un cambio di paradigma nelle politiche economiche».
Sull’immigrazione cosa chiederà l’Italia?
«Prima di chiedere, l’Italia agisce. Veder morire dei bambini di 3 anni in fondo al mare dicendo che non è un problema nostro, è incivile e immorale. È contro le regole del mare e di una cultura dell’accoglienza che era nata nel Mediterraneo: la cultura ateniese e romana. Abbiamo imparato che l’accoglienza e il salvataggio dell’ospite è un valore sacro. Con l’operazione Mare Nostrum stiamo salvando tante persone. Ma L’Europa deve richiamare le Nazioni Unite ad intervenire in Libia e più in generale avere una capacità di gestione dei fenomeni immigratori. Pensiamo che Frontex possa essere utilizzato di più e meglio».
Lo scandalo Expo ha fatto riemergere antichi personaggi...
«E’ una guerra che vinciamo. Ogni volta che emerge uno scandalo, dobbiamo allarmarci, ma anche rallegrarci che la magistratura funziona. Una certa mentalità non si cambia con un decreto legge. Ma il fatto che un ragazzo con meno di 40 anni rappresenti il Paese, è il segno che gli italiani sono capaci di tutto. Nel bene e nel male».
A gennaio lei disse ad Enrico Letta: stai sereno, nessuno vuole prendere il tuo posto. Oggi pensa che sarebbe stato meglio non dirlo? E perché dopo aver criticato la vecchia classe politica lei ha preso il potere con una manovra che è apparsa di Palazzo?
«Io ho detto quella frase perché ne ero convinto, profondamente convinto. In quel momento spronavo il governo Letta a rimettersi in moto: era come una macchina che aveva esaurito la batteria. Io ho cercato di dare il mio contributo al governo perché quella macchina ripartisse, ma la macchina non si è riaccesa, non per un gioco di Palazzo ma per una responsabilità di quella classe dirigente. C’è stato un processo di esaurimento di quel Governo, negarlo oggi è anche ingiusto ed io ho molto sofferto dal punto di vista personale. Da parte nostra, assumere la guida del governo è stato un atto di generosità. Io so come sono andate le cose e anche Enrico Letta lo sa».
Oggi possiamo dirlo? Alle Europee sarebbero arrivati logorati sia il governo che il Pd?
«Io credo che il tempo sia galantuomo e credo che allora essermi costretto al silenzio sia stato un bene nell’interesse del Pd, del governo e del Paese».
Sinceramente la sua visione di fare politica è cambiata in questi mesi?
«Intanto è cambiata la mia vita personale nel senso che io vengo da una esperienza amministrativa, della quale ero felice e ora invece passo da questo piano al terzo piano dove c’è l’appartamento del Presidente del Consiglio, ho la scorta che non ho mai avuto in vita mia perché io da sindaco, a differenza di certi politici italiani, viaggiavo in bici tranquillamente per i fatti miei...».
Ma ora legge e vive la politica in modo diverso?
«Penso che con un governo di quarantenni, tra dieci anni i rottamati saremo noi e questa è una bella cosa! La politica è un’esperienza straordinariamente affascinante ma non la fai per sempre. Questo mi porta a dire che io vivo con urgenza questo tempo: per me la clessidra è voltata ogni momento, nessun giorno è sbagliato per cominciare a cambiare davvero e da questo punto di vista, ciò mi porta a dire che voglio fare velocemente le riforme. Penso che tra dieci anni mi piacerebbe lasciare anche alla mia terza figlia Ester, che allora sarà maggiorenne, un Paese che sia guida dell’Europa, leader dell’innovazione e capace di attrarre talenti e non di cacciarli».
Come spiega il flop di Beppe Grillo? E Berlusconi è politicamente finito?
«Guai a pensare che Grillo e Berlusconi siano finiti. L’Italia è capace di tutto nel bene e nel male, è un Paese di genialità e follia allo stesso tempo. Grillo ha avuto un risultato decisamente inferiore alle aspettative, ha nascosto ai suoi che aveva già fatto alleanze internazionali e ha tenuto nascosti anche i nomi dei propri candidati. Però non è finito: finirà se noi faremo le riforme e se saremo credibili. Berlusconi è Berlusconi, ha preso circa il diciassette per cento, un risultato che in Europa molti continuano a definire inspiegabile. Ma è il risultato di un uomo che in questo anno ha avuto una condanna, polemiche a go-go, si è separato da alcuni tra i suoi più stretti collaboratori e comunque continua ad esserci. Io non ignoro nessuno, perché è stato sbagliato in questi anni quell’atteggiamento della sinistra di superiorità morale e intellettuale, tipico dei salotti radical chic. Ma non ho paura di nessuno. Ora dobbiamo solo avere la forza di fare le riforme».
L’intervista è stata realizzata insieme a Andrea Bachstein (Suddeutsche Zeitung), Lizzy Davies (The Guardian), Philippe Ridet (Le Monde) e Pablo Ordaz (El Pais)
Fabio Martini, La Stampa 31/5/2014