Stefano Bartezzaghi, la Repubblica 31/5/2014, 31 maggio 2014
ERA GOBBO. NO, SOLO SCOLIOSI SE IL VERO RICCARDO III VUOLE SMENTIRE SHAKESPEARE
«Il mio regno per un cavallo, con maniglie! ». Fra le certezze che la storia, l’archeologia e varie scienze ci consentono di acquisire, una delle più recenti è che Riccardo III (modello storico dell’eroe shakespeariano) non andava in palestra. Lo sapevamo per via induttiva, non essendoci nota alcuna palestra attiva nella Londra del XV secolo. Ma ora ne abbiamo la prova certa. Un paio d’anni fa è stato rinvenuto uno scheletro che, per il luogo in cui era sepolto e per le successive prove sul Dna, è stato riconosciuto come quello del crudele re: «al di là di ogni ragionevole dubbio», come recita la formula ufficiale. Ebbene, l’analisi di questo scheletro oggi ha mostrato come la gobba e la deformità ripugnante che plasmano il personaggio di Shakespeare si riducevano, nella realtà non letteraria, a una ben più modesta scoliosi, di quelle che si potrebbero appunto prevenire o correggere con esercizi fisici. Nel suo monologo iniziale, quello dell’«inverno del nostro scontento», il futuro re si compiangeva: «defraudato d’ogni armonia di tratti, monco, deforme, sbozzato per metà, e per questa metà in modo così monco e sgraziato che i cani latrano quando zoppico accanto a loro». In ritardo di qualcosa più di mezzo millennio, a consolarlo arrivano le parole di Jo Appleby, archeologo di Leicester e autore di uno studio sullo scheletro: «Per quanto la scoliosi appaia più che seria, probabilmente non causava una deformità fisica di livello macroscopico, e questo perché aveva una linea molto ben bilanciata.
Significa che il re aveva il tronco un po’ corto rispetto agli arti e la spalla destra leggermente più alta dell’altra, nulla che un’armatura fatta su misura e un buon sarto non avrebbero potuto aggiustare».
La stampa inglese è piena di articoli al proposito. A fidarsi di quanto di questa scoliosi ci racconta Appleby, insomma, non sarebbe il caso di farne una tragedia. Ma naturalmente non è possibile conoscere l’opinione, presumibilmente opposta, di Shakespeare. Infatti nell’immortale – e quindi non passibile di riesumazione e autopsia – tragedia, è proprio la deformità che porta il crudele aristocratico a commettere le nequizie che lo metteranno sul trono. Non mi posso innamorare, diceva, quindi mi devo trovare un altro modo per divertirmi. Quasi come quel personaggio di Enzo Jannacci che veniva lasciato dalla sua ragazza a causa di un “foruncolo” («proprio qui... O forse è addirittura un patereccio»), per Riccardo conte di Gloucester, e poi re, «è finito ogni amore», ancora prima di cominciare. Uno diventa una carogna, per forza. Ah, se il naso di Cleopatra fosse stato più corto! Ah, se opportune indagini stabilissero che Hans Castorp aveva solo un po’ di catarro! Se il bravo medico di Lukones avesse prescritto a don Gonzalo Pirobutirro adeguati antidepressivi, niente più cognizione e niente più dolore... Dopo di che, bisognerebbe anche chiedersi cosa ne venga alla letteratura da simili diagnosi. Nella sua biografia di Dante Alighieri, Marco Santagata mostra come certe descrizioni («E caddi come corpo morto cade» è una di queste) autorizzino l’ipotesi che Dante conoscesse bene l’epilessia, forse per averla sperimentata. Questo non è di poco interesse. Ma nel caso del Riccardo III la svista ortopedica di Shakespeare ci dice quello che sapevamo già: che i suoi “drammi storici” di storico hanno poco più che un fondale e che quello che fa la letteratura non è mai “ritrarre” la realtà bensì costruirla. La scoliosi del re storico sta alla deformità del personaggio come il monte Olimpo che oggi possiamo ascendere o fotografare (2.917 m.) sta alla casa degli dèi. Tutto ovvio, ma forse è necessario dirlo ora, quando un certo feticismo dietrologico ci fa frugare nei cassetti degli scrittori alla ricerca di tracce della “vera” Lolita, del “vero” Swann, del “vero” don Abbondio. Come se l’esistenza in vita del vero (senza virgolette) Limonov non dimostrasse che neppure i personaggi di non-fiction sono reali. L’arte letteraria è ricostruzione e ogni ricostruzione è deformazione: e infatti Shakespeare non ha fatto una tragedia su una scoliosi, ma ha deformato il corpo del personaggio storico sino a renderlo adeguato a una tragedia. L’unica differenza è che con i personaggi di non-fiction (se viventi) bisogna usare più cautela: oltre che ai sarti, agli ortopedici, ai personal trainer, possono ricorrere anche agli avvocati.
Stefano Bartezzaghi, la Repubblica 31/5/2014