Silvia Fumarola, la Repubblica 31/5/2014, 31 maggio 2014
“SONO UNA NOMADE FELICE ECCO COME HO RINUNCIATO ALLE MIE RADICI”
[Giovanna Mezzogiorno] –
Giovanna Mezzogiorno si racconta senza paura; nella vita ha fatto presto i conti col dolore, coltiva la consapevolezza e una grande curiosità per il mondo.
Stempera nell’ironia giudizio e affetto, passionale e riservata, “un orso” come si definisce lei, è una sintesi perfetta dei genitori: il padre Vittorio, napoletano, sette fratelli, instancabile, aperto, gran conversatore; la madre Cecilia Sacchi, anche lei attrice, donna colta, discreta, famiglia della borghesia intellettuale del Nord.
«Vengo da due mondi diversissimi tra loro che si sono fusi», racconta Giovanna. «Sono un mix. La mia vita è divisa in due, ma se mi chiede di scegliere, mi sento di appartenere di più al Sud perché fino ai dieci anni i miei ricordi sono legati alle isole siciliane, a Ischia, alla nostra casa in Molise: è il mio imprinting da bambina. Poi la mia vita nell’‘84 si è spostata a nord, a Parigi, coi suoi diciotto gradi sotto zero. Ma non mi sono spaventata, non mi faceva paura il buio alle quattro del pomeriggio. Sono fortunata perché ho capito presto che potevo vivere ovunque, non sono mai stata legata alle radici. Rimpacchetto le cose, preparo i bagagli e si ricomincia».
«Ho vissuto a Roma, dove c’è la mia casa, quella che mi sono comprata grazie al mio lavoro, a Milano e ora a Torino, la città di mio marito. La amo, è comoda, non caotica, i bambini crescono felici. Paradossalmente la piccola Torino è molto meno provinciale della grande Roma, ha una storia antica d’accoglienza e d’integrazione, è multietnica». Lo sguardo chiaro e diretto del padre Vittorio, a cui ha dedicato il documentario Negli occhi , l’attrice più premiata del cinema italiano, 40 anni a novembre, ha collezionato nella sua carriera una galleria di donne vere: complesse, inquiete, forti, fragili, appassionate. Il 6 giugno all’Institut français di Milano riceverà l’onorificenza di Cavaliere delle arti e delle lettere, da parte del ministero della Cultura francese. «Dire che è un onore è fin troppo scontato, questa medaglia per me è una gioia immensa: viene dalla Francia, che ha cambiato il destino della mia famiglia per sempre. Ho vissuto per otto anni in Francia e la conosco bene, so quanto sia un paese profondamente attento alla cultura».
La vita ti toglie tutto e ti fa regali senza chiedere permesso: nel ‘94 è morto Vittorio Mezzogiorno. Nel 2010 un dolore immenso e la gioia inattesa nel giro di pochi mesi: poco dopo la morte della madre, Giovanna, ha scoperto di essere incinta di due gemelli. Il momento di tirare fuori tutta la forza, si è presa due anni per seguire i bambini, poi è tornata sul set: ha girato con Lambert Wilson Vinodentro di Ferdinando Vicentini Orgnani, una commedia ambientata nella provincia del nord tra vigneti e tradimenti. In autunno uscirà I nostri ragazzi di Ivano De Matteo con Alessandro Gassmann, Luigi Lo Cascio e Barbora Bobulova; liberamente ispirato al romanzo La cena di Herman Koch, il film fotografa la routine di due famiglie borghesi che perdono le certezze quando scoprono la tragica bravata commessa dai figli adolescenti. Il cinema resta la sua passione, ma con la nascita di Leone e Zeno le priorità sono cambiate; quando parla dei gemelli, Giovanna Mezzogiorno cambia il tono della voce: «Fare la madre è un mestiere che impari sul campo. Mi piacerebbe saper comunicare ai miei figli l’amore per i viaggi, l’idea che partire è energizzante e non è mai uno strappo, mi piacerebbe che andassero a studiare all’estero ma vorrei dargli anche una base, come l’ho avuta io. La mia base era mia madre, il mio corazziere: c’era sempre». Un punto fermo, per la bambina che impara presto le lingue e a fare le valigie. «Fino all’età di dieci anni», racconta l’attrice, «ho abitato a Casal Palocco, nel verde, vicino a Roma, poi ci siamo trasferiti a Parigi per il Mahabharata, con un gruppo teatrale bellissimo, multietnico. La tournée mondiale ha significato un grande cambiamento per me, è stata un’esperienza che mi ha formato. Sarei una persona profondamente diversa se non fossi partita; mi sono adattata bene, la mia famiglia ha sempre viaggiato e da quel momento non ho più avuto voglia di essere sedentaria. Mia sorella Marina è uguale a me, è nata in America è stata due anni con noi a Torino e ora vive a Tolosa. Cambiare le dà forza. Se domani dovessi spostarmi con la mia famiglia non mi spaventerei, non sono legata a nessun luogo». Nomade per scelta, i ricordi come compagni di viaggio, la parola d’ordine è autonomia. «Sono sempre stata indipendente» continua la Mezzogiorno «anche il rapporto con mia madre, che è stato il più forte, il più viscerale, prima di quello con mio marito, non era vincolante. Non ho vissuto con lei neanche quando era malata, andavo a trovarla. Lei e papà mi hanno sempre spinto ad andare via, mi hanno messa sugli aerei e sui treni appena adolescente. Anche quando ho deciso di partire per la Francia mamma non mi ha mai detto: “Come, sono vedova da un anno, e che fai, mi lasci?”». Non ha mai messo radici, ma la ragazza con la valigia ha un posto del cuore: «La casa di montagna in Molise, dove ho solo ricordi felici, senza crepe, una felicità familiare perfetta. È l’unico luogo in cui non si è mai interrotta la magia».
Giovanna Mezzogiorno ha lavorato tanto su stessa, «ma la saggezza di mia madre» confida «ancora non l’ho ancora acquisita. Sono agguerrita su certe cose, arrabbiata per altre. Le sue parole riecheggiano dentro di me, mamma era capace di un’empatia col mondo che io mi sogno, aveva raggiunto un livello di comprensione degli altri altissimo. La sua mancanza fisica, la mancanza di quello che potrebbe dirmi è irrecuperabile, niente riparerà quel vuoto». Riprende fiato: «Mi sono sposata, ho due figli, il mio è stato un percorso duro, e quella voce che saprebbe dirmi la frase perfetta — chissà come faceva a dire sempre la cosa giusta al momento giusto — mi manca. Non capisco perché la vita mi abbia fatto questo, perché me li abbia tolti così presto tutti e due, mamma e papà. Me lo chiedo a ciglio asciutto. E continuo a non trovare la risposta».
Silvia Fumarola, la Repubblica 31/5/2014