Paolo Griseri, la Repubblica 31/5/2014, 31 maggio 2014
IN FIAT DA 10 ANNI SCOMMESSA VINTA PER MARCHIONNE
TORINO.
Nella prima fotografia ufficiale aveva giacca e cravatta e oggi probabilmente sarebbe irriconoscibile. Ma erano altri tempi. Il 1 giugno del 2004, quando il consiglio della Fiat lo aveva nominato amministratore delegato, nessuno, tantomeno Sergio Marchionne, aveva voglia di pensare al look. Tre giorni prima il cda aveva licenziato Giuseppe Morchio, l’ad che aveva chiesto alla famiglia di diventare presidente. Intorno al feretro di Umberto Agnelli gli azionisti avevano rifiutato la proposta. E due giorni dopo Morchio se ne era andato: «Sentimmo solo il rumore delle pale del suo elicottero che si allontanava dal Lingotto», ricorda Gianluigi Gabetti.
Sergio Marchionne arriva alla guida della Fiat in questo clima da ultima spiaggia, con l’azienda che perde più di due milioni di euro al giorno. Oggi, dieci anni dopo, è tempo di bilanci. Il paragone tra la Fiat di oggi e quella di allora parla da sé. Dopo la fusione con Chrysler, l’azienda di Torino è il settimo gruppo mondiale, fattura quasi cento miliardi di euro e vende 4,4 milioni di auto all’anno. Non ha superato tutti i problemi ma certamente è molto lontana dal punto di non ritorno che aveva sfiorato dieci anni fa. Anche Luca di Montezemolo oggi presidente di Ferrari, nel 2004 presidente di Fiat, lascia parlare quel paragone per dare una valutazione del decennio marchionniano: «Credo che il miglior modo per parlare del lavoro di Sergio Marchionne sia guardare la Fiat di oggi rispetto alla situazione drammatica in cui si trovava l’azienda nel 2004 quando Sergio ed io fummo chiamati a gestirla come amministratore delegato e presidente. Allora - ricorda ancora Montezemolo - l’azienda era in mano alle banche e vicina al fallimento, oggi è un gruppo internazionale con stabilimenti in tutto il mondo, con diversi marchi importanti e con grandi prospettive future». Dei dieci anni fanno parte i successi (il divorzio con Gm, la restituzione dei debiti alle banche, l’acquisto di Chrysler) e i grandi contrasti. L’accoglienza come un salvatore prima a Torino poi a Detroit e il durissimo scontro con la Fiom in Italia. Le inaugurazioni degli stabilimenti con le tute blu che applaudono e le polemiche con l’accusa di voler trasferire la Fiat oltreoceano. Ben presto Marchionne scatena il tifo.
«Il giudizio su Sergio Marchionne è inevitabilmente contrastato », dice l’ex ministro del lavoro Cesare Damiano ricordando tra gli aspetti positivi «la scelta di internazionalizzare la Fiat accettando la competizione globale», mentre «è negativo il ridimensionamento delle attività in Italia che solo il piano presentato nelle scorse settimane potrebbe rivitalizzare, come tutti ci auguriamo». Perché questo è uno dei nodi che si potranno sciogliere solo tra un anno: se davvero i nuovi modelli previsti dal piano riusciranno a far tornare al lavoro le migliaia di cassintegrati di Mirafiori e Cassino,
allora il giudizio su Marchionne, anche in Italia, tornerà prevalentemente positivo. Giaà oggi è positivo quello di Sergio Chiamparino, neopresidente del Piemonte, all’arrivo di Marchionne sindaco di Torino: «Era una situazione davvero drammatica - ricorda Chiamparino - e va dato merito all’amministratore delegato del Lingotto di aver trovato la strada non solo per salvare la Fiat ma per creare un grande gruppo globale. Gli ho sempre detto con franchezza quel che pensavo anche quando dissentivo da certe scelte come quella di tentare di tenere fuori la Fiom dalle fabbriche. Ma anche sul terreno delle relazioni industriali va riconosciuto che la strada di un uso più flessibile della manodopera è l’unica che consente di far fronte ai picchi produttivi dettati dalla competizione».
Tra dieci anni quale giudizio su Marchionne prevarrà? «Difficile dirlo - risponde Giuseppe Berta, storico dell’industria e docente alla Bocconi - perché il timore che la Fiat vada altrove è strettamente legato alla metamorfosi subita da un gruppo che con la fusione con Chrysler è diventato davvero globale. Certo, la Fiat non è più quella di prima. Ma c’era un altro modo per salvarla?».
Paolo Griseri, la Repubblica 31/5/2014