Flavio Pompetti, Il Messaggero 31/5/2014, 31 maggio 2014
GOOGLE, UN MODULO PER L’OBLÌO
IL CASO
New York
Google si inchina alla Corte Europea: da ieri i suoi clienti europei che si sentono danneggiati ingiustamente da una pagina raggiungibile tramite il motore di ricerca, potranno chiedere che il collegamento sia cancellato e il dato scompaia dal web.
La società di Mountain View ha messo on line un formulario che consente a qualsiasi cittadino di comunicare direttamente con l’azienda. Per trovarlo basta immettere nella finestra di ricerca la frase: «ricerca di rimozione di risultati». All’interno del sito bisogna identificarsi con la copia scannerizzata di un documento (carta di identità o patente), per evitare che la rimozione sia chiesta da una persona non autorizzata, o farlo fare da un legale che ci rappresenta. Bisognerà poi specificare uno ad uno gli Url: gli indirizzi elettronici delle pagine di cui si chiede la cancellazione, fornendo per ogni Url una valida ragione. Non basta essere in dissenso con il contenuto, o pentiti di quanto abbiamo pubblicato in passato. La Corte ha specificato con la sua sentenza che i dati di cui si chiede la rimozione devono essere obsoleti e contraddetti da informazioni più recenti, oppure irrilevanti, e in ogni caso inadeguati a definire la situazione cui fanno riferimento. In altre parole si deve dimostrare che la loro permanenza è ingiusta e lesiva per l’interessato.
IN RETE
Il formulario va datato e firmato con la procedura di sicurezza della firma elettronica, poi inviato al motore di ricerca che esaminerà le pratiche una per una e manualmente, prima di decidere. Sono già 12.000 le richieste di rimozione giunte da tutta Europa in meno di una giornata. Questo «diritto all’oblio» era dovuto, dopo il pronunciamento della massima autorità giudiziaria della comunità europea, tuttavia ha un enorme valore innovativo nella breve vita di Internet, che dalla sua creazione ha continuato ad accumulare dati, immagini e informazioni come un enorme cassetto che si allarga a dismisura.
È giusto che il nome di un giovane professionista che si affaccia sul mercato del lavoro sia ancora associato con quello di suo padre, che decenni prima ha commesso un atroce delitto? Probabilmente no, così come non lo è per un condannato che ha finito di espiare la pena essere ancora associato al crimine. Per non parlare poi dei casi di omonimia come quello di un cittadino spagnolo che ha acceso il dibattito di fronte alla Corte Europea, o addirittura di manifesta diffamazione.
IL DIBATTITO
Le decisioni che i tecnici del motore di ricerca dovranno prendere tuttavia sono tutt’altro che scontate, perché dall’altra parte preme la necessità di rispettare il diritto di parola e la libera informazione. Due principi talmente importanti da avere impedito finora l’applicazione di una simile disciplina in America, terra del primo emendamento della Costituzione, che quei valori garantisce. Google si trova quindi da ieri a operare con due diversi principi sui due mercati, e quel che è peggio, a lasciare in vita sui siti americani documenti che devono invece sparire dall’Europa.
Per agevolare gli operatori l’azienda ha nominato una commissione di saggi tra cui Jimmy Wales di Wikipedia e l’italiano Luciano Floridi, laureato alla Sapienza e ora professore ad Oxford - chiamati a dibattere la questione sotto un profilo etico e giuridico. Dovranno anche fornire opinioni sui casi singoli se necessario, adeguandole allo sviluppo di una materia quanto mai mutevole. Ai singoli utenti europei di Google, e presto forse di altri motori di ricerca, toccherà invece un lavoro meno gratificante: monitorare in continuazione il web in cerca di link che facciano risorgere con un nuovo indirizzo elettronico il danno appena emendato. La promessa dell’oblio rischia di trasformarsi per loro in un’ansiosa gara da luna park, con gli orribili mostri che continuano a spuntare dal tabellone, ignari delle martellate del giocatore.