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 2014  giugno 01 Domenica calendario

UMANISTI IN BELLA GRAFIA


Tre poderosi e ponderosi volumi dell’editrice Salerno aprono a studiosi, bibliofili, semplici curiosi un panorama tra i più affascinanti che la cultura italiana possa offrire. Il panorama dei manoscritti superstiti dei nostri umanisti. I letterati di un mondo nuovo sono presentati all’opera, nei loro studioli e ai loro scrittoi, penna in mano e leggio davanti agli occhi, nell’atto di vergare i loro capolavori, scoprire, leggere e postillare quelli di colleghi contemporanei o lontani all’indietro di secoli e secoli, comunicare le loro scoperte a colleghi e intrattenere corrispondenza con i potenti della terra.
Sono 26 autori per il Quattrocento nel primo volume finora uscito, e 61 nei due volumi editi del Cinquecento, schedati uno per uno da diversi specialisti, diretti da Matteo Motolese ed Emilio Russo, con una notizia biografica e un’ampia descrizione e analisi della loro scrittura e quindi con l’«Indice analitico» dei loro autografi giacenti nelle biblioteche di tutto il mondo e dei testi manoscritti o a stampa da loro postillati. Di essi si dà poi la riproduzione di alcune pagine significative.
I motivi d’interesse, come si accennava, sono plurimi. Troviamo Poggio Bracciolini pendolare delle biblioteche europee, e Niccolò Niccoli che sguinzaglia suoi segugi a caccia degli scrittori nuovi, che dall’antichità greco-latina stanno arricchendo enormemente e in molti casi soppiantando i loro colleghi sopravvissuti in età medievale. Biblioteche personali, ducali ed ecclesiastiche che si arricchiscono enormemente di nuovi codici, copisti all’opera anch’essi col nuovo strumento della scrittura umanistica che soppianta la carolina con un’eleganza e nitidezza precorritrice dei caratteri a stampa. La scrittura è anch’essa una scelta estetica, si nota nell’«Introduzione» al volume quattrocentesco. Testi greci sono tradotti, altri annotati o corretti. In molti casi si assiste all’opera nel suo divenire, con manoscritti corretti a margine o nel corpo del testo di mano dell’autore.
E alla fine si può con tutti questi dati ricostruire anche le biblioteche private, i gusti e gli strumenti con cui umanisti, poeti, storici, drammaturghi operarono allora da un capo all’altro della Penisola.
Tommaso Baldinotti trascrive un Seneca tragico a tredici anni, nel 1464, firmando alla fine con straordinaria nitidezza Hoc transcripsit opus Senece Thomasus Amator de Baldinoctis, cui Deus omnipotens longam prestet sanitatem ac vitam longam, sua si precepta sequatur. La sua vita durò solo sessant’anni, ma ebbe tempo per scrivere 414 sonetti e 257 rime volgari e lasciarci 61 autografi.
Tra gli 82 autografi e i 31 postillati di Marsilio Ficino, sempre leggibilissimo a differenza di Pico e del Poliziano, troviamo anche «bozze» corrette e la dedica manoscritta di un esemplare dell’Epistolario a Pietro del Nero. Tradotta dice: «Ti mando i Dodici libri delle mie Lettere appena stampati, con tanti saluti quanti sono quelli agli amici contenuti in questi libri… Scritto di mia mano a Firenze il 13 novembre 1495».
I manoscritti superstiti di Poliziano sono 104, i suoi postillati 91. Di Machiavelli e dell’Aretino si conosce un solo postillato contro i 186 di Pier Vettori. Di Luigi Pulci ci rimane anche una «dichiarazione dei redditi» per l’anno 1457: «Una abitatione nello luogo detto il Palagio nello quale è uno mulino che lo tiene a fitto Simone d’Antonio… e uno podere allato a detto Palagio…»
Il primo volume del Cinquecento si apre con Alamanni e comprende fra gli altri Bembo, Giordano Bruno, Campanella, Michelangelo, Castiglione, Marino; il secondo ha Berni, Vittoria Colonna, Veronica Franco, Sannazaro, stupendo scrivano, con una maiuscola ispirata alle epigrafi marmoree e una minuscola tra tonda e corsiva di nitidezza ed eleganza invidiabili.
Anche qui ci si può soffermare sugli spogli linguistici di Francesco Guicciardini eseguiti durante la redazione della Storia d’Italia: Altramenti ut Altrimenti - Sodisfare o Satisfare - Dispregiare dispregio pregio et simili - Strumenti o Istrumenti…
E anche qui, Teofilo Folengo che il 29 settembre 1538 giorno di Santo Michele affitta tutto il prato et lo campo non servando per me altro che l’horto a Iacomo d’Antonio da Puzzetto per un anno per otto libre bresciane. E Gian Giorgio Trissino che tiene nota dei libri prestati, a messer Lascari un libro greco con proverbi, ad altri Sofocle, Erodoto, Vitruvio, gli Aforismi di Ippocrate, l’Organon di Aristotele ecc.
Troviamo anche il Diario di lavoro e di mensa del Pontormo; una lettera del gennaio 1532 in cui Ruzante avverte Ercole d’Este del suo arrivo in barca con la troupe, i costumi e le scene. Un’altra in cui Giorgio Vasari chiede a Francesco Leoni di raccomandarlo a Messer Piero, al Sansovino e a Tiziano, come lo stesso Sansovino supplicava di tutto cuore il duca d’Urbino da Venezia il 18 novembre 1570 di far aiutare dal suo ambasciatore a Roma una pratica da lui avviata per ottenere un beneficio vacante a Venezia e di cui si attende il fiat di Sua Santità.
Strepitosa poi fra tutti gli epistolari una missiva in cui nel corso di un’aspra polemica, quale non erano rare fra questi dotti, Lodovico Dolce scrive a Benedetto Varchi (1553) che il suo avversario Girolamo Ruscelli è uno «gaglioffo barro, truffatore, ignorante, e ripieno di tanti vitii, che un solo basta, … in modo, che non essendogli riuscita la bravura di voler tradur le vite Plutarco dalla lingua Greca, della quale non ne è più dotto d’una gazza; la Bibia dall’Hebrea, di cui similmente ne sa, quanto il mio cane, … finalmente si è ridotto all’arte del ruffianesimo, … accattando per questa via agramente il pane».
Non ci rimane che attendere con altrettanto interesse il secondo tomo del Quattrocento e quanto riguarderà l’età precedente, Le Origini e il Trecento.

Carlo Carena, Il Sole 24 Ore 1/6/2014