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 2014  giugno 01 Domenica calendario

TROPPI RITARDI SUL FRONTE ITALIANO E SCATTÒ IL BLITZ


Meno di due giorni separano la liberazione di Roma dallo sbarco in Normandia. Tra il 4 e il 6 giugno di settant’anni fa ha inizio la svolta decisiva nel teatro europeo della Seconda guerra mondiale. Situazioni diverse, a prima vista non paragonabili.
Da un lato l’ingresso degli Alleati attraverso le mura della città eterna con gli ultimi combattimenti e la ritirata verso nord delle truppe naziste, dall’altro uno scontro feroce sulle coste francesi preludio alle successive battaglie che accompagneranno l’avanzata verso il cuore del Terzo Reich.
La prossimità degli eventi non è frutto di casualità né può essere liquidata come mero riflesso della geografia continentale. Si tratta di due direttrici che contribuiscono a definire la vittoria finale animando confronti e opinioni di politici e militari nelle conferenze preparatorie. La disputa risale a qualche anno prima. Gli inglesi sostengono l’invasione dell’Italia e l’attacco al ventre molle dell’Europa per aprire una «strada meridionale» verso la Germania. Washington si dice contraria all’ipotesi di impegnare truppe alleate sul suolo italiano: gli sforzi americani sono interamente concentrati sulla preparazione dell’offensiva che debutterà, il 6 giugno 1944, con lo sbarco in Normandia (Operazione Overlord). I primi pensano a una strategia di accerchiamento dei fronti conquistati da Hitler nella prima fase del conflitto al fine di indebolirne il controllo; i secondi sono persuasi che solo una penetrazione sull’asse franco–tedesco porterà alla resa incondizionata.
Il compromesso siglato all’inizio del 1942 tiene in piedi i due scenari dando loro un ordine di priorità: prima il Mediterraneo, a seguire il fronte dell’Europa occidentale. Il generale Einsenhower (comandante in capo e futuro presidente degli Stati Uniti) usa parole illuminanti nelle sue memorie di guerra: «Non eravamo abbastanza vicini alla disfatta dell’Asse per raggiungere conclusioni unanimi e limpide circa le azioni che avrebbero condotto alla vittoria».
Ma torniamo alla prima settimana di giugno del 1944 quando il presidente Roosevelt annuncia alla radio che la prima capitale dell’Asse è caduta: la strada da Roma porterà a Berlino e a Tokyo. Poche frasi che fanno il giro del mondo. Da radio Londra la parola in codice che conferma l’evento: «Elefante». Sulle prime pagine dei quotidiani il messaggio incoraggiante: «Roma è la prima capitale liberata dopo l’invasione tedesca dell’Europa continentale. In tutto il mondo, anche chi non segue da vicino gli eventi militari sarà impressionato dal suono del nome eterno e dalla svolta storica che ancora una volta lo connota» («The Times»). La città appare incredula, dubbiosa, poi festosa alla ricerca dei nuovi arrivati. I corrispondenti di guerra s’insediano negli alberghi del centro presidiati un tempo dai tedeschi. Nella tipografia del «Messaggero» va in stampa «The Stars and Stripes», giornale delle forze armate Usa, primo quotidiano di Roma liberata che apre così: Gli Alleati a Roma. Continuano scontri sporadici. La popolazione riempie le piazze alla ricerca di vecchi amici, baci, abbracci e balli. Jim Delavay, un soldato americano imponente, in piedi su una jeep dirige il traffico delle autocolonne della V Armata a Porta Maggiore: è un indiano apache e viene dal Nuovo Messico. Eric Sevareid, inviato di guerra della Cbs aveva seguito tra i soldati la marcia di avvicinamento alla città. Il servizio dal vivo è del 4 giugno, a mezzogiorno. «Roma era davanti a noi, ma in realtà l’intera città era oscurata dal fumo e dalla foschia. Vicino, rombavano i cannoni, e da qualche posto della città proveniva il sordo rumore delle esplosioni. […]. Gli inviati, seduti, battendo sulle loro macchine da scrivere appoggiate sulle ginocchia. […] La gente si affacciava a tutte le finestre e si raccoglieva davanti a ogni porta. Le ragazze e i bambini lanciavano fiori alle due file di soldati americani che avanzavano lentamente, e ormai sulle torrette dei nostri carri armati campeggiavano i bouquet». Per fotografi e corrispondenti la festa è breve, arrivano le prime notizie dalla Francia; si parte di nuovo per non perdere l’appuntamento con la storia. Il 6 giugno alle 13 Radio Roma riprende le trasmissioni da via Asiago annunciando con enfasi che è in corso l’Operazione Overlord sulle coste della Normandia.
Il primo passo verso lo sbarco risale alla conferenza di Casablanca (gennaio 1943), la messa a punto dell’Operazione alla conferenza del Quebec, nove mesi dopo; ma solo nel febbraio del 1944 - sull’onda dei ritardi e degli insuccessi collezionati sul fronte italiano - viene messo a punto il piano d’attacco «Nettuno». I giorni selezionati sono più di dieci, poi il cerchio si stringe attorno al 5, 6 e 7 giugno. Le condizioni meteo sono proibitive, i tedeschi non se lo aspettano, non da quella parte. Dal 5 l’ordine slitta al 6, altre 24 ore sperando che il vento e il mare diano tregua: lo sbarco all’alba e dalla mezzanotte il lancio di paracadutisti al di là delle linee di difesa. Cinque le spiagge, con nome in codice, da Ovest a Est: Utha, Omaha, Gold, Juno e Sword. L’impatto è terribile, in tanti non riescono neppure a mettere i piedi sulla sabbia. Oltre 7 mila le imbarcazioni e i mezzi da sbarco impegnati per bombardare le postazioni tedesche. Durante il D-Day sbarcano oltre 75 mila soldati inglesi e canadesi e più di 57 mila militari statunitensi. Tra morti e feriti viene superata la soglia dei diecimila. Alla fine di giugno si calcola che abbiano raggiunto il territorio francese 850 mila uomini, quasi 150 mila veicoli e oltre 570 mila tonnellate di aiuti. La guerra è ancora lunga, la via per Berlino piena di ostacoli. Ci vorrà più di un anno per completare il cammino della libertà.

Umberto Gentiloni, La Stampa 1/6/2014