Marco Palombi, Il Fatto Quotidiano 1/6/2014, 1 giugno 2014
INCHIESTE PARLAMENTARI? ORA SIAMO ARRIVATI A 69
Durante la storia della Repubblica ne abbiamo create 69, una quarantina delle quali Bicamerali. L’ultima si è aggiunta all’elenco giusto la settimana appena passata: è la seconda commissione parlamentare d’inchiesta – la prima venne istituita nel 1979, a ridosso dei fatti – sul rapimento e l’omicidio di Aldo Moro. Tutto cominciò addirittura alla fine degli anni Quaranta, quando la Camera decise di indagare sulla “disoccupazione” e la “miseria” in Italia con due diversi organismi. Per trovare la costituzione della prima commissione Antimafia – che ci ha fatto compagnia per dieci legislature, compresa questa – bisogna aspettare invece il gennaio 1962 (da allora, peraltro, la regione Sicilia prevede a bissare con un organismo d’indagine del suo Parlamento regionale): la presiedeva il deputato socialdemocratico Paolo Rossi, ma praticamente non riuscì a tenere nemmeno una seduta perché le Camere vennero sciolte a febbraio. Da allora, comunque, l’Antimafia è stata sempre riconfermata in tutte le legislature con l’eccezione della VII, quella che andò dal luglio 1976 al giugno 1979.
In sessantasei anni – grazie all’articolo 82 della Costituzione che gliene assegna il potere, dotandolo di strumenti simili a quelli della magistratura – il Parlamento ha indagato un po’ su tutto: dalla condizione giovanile alle ricostruzioni post-terremoto nel Belice e in Irpinia, dalle stragi alla criminalità organizzata, dall’Inps al disastro del Vajont, alla P2, al disagio sociale degli anziani, dal cosiddetto “armadio della vergogna” sui crimini nazisti al Servizio sanitario nazionale.
I risultati di questo ultradecennale profluvio di sforzi sono complessi da analizzare: la mole di materiale, testimonianze, documenti è stato spesso di straordinaria importanza e ha anticipato a volte le inchieste della magistratura. È il caso della incredibile pervicacia con cui il comunista Sergio Flamigni precorse verità ormai accertate come il “quarto uomo” del sequestro Moro o la presenza del memoriale nel covo di via Montenevoso. A volte l’utilità delle commissioni d’inchiesta, come per quella sull’uranio impoverito, è più direttamente politica: il Parlamento, infatti, costrinse alla fine il ministero della Difesa a concedere un indennizzo alle vittime militari (o alle famiglie in caso di decesso) che fossero state esposte alle munizioni incriminate.
È vero d’altronde – e specialmente in tempi più vicini a noi – che il lavoro di molte commissioni non ha quasi lasciato traccia e questo a fronte di costi in passato non piccolissimi.
Si è arrivati al paradosso che nelle ultime due legislature sia la Camera che il Senato hanno istituito autonome commissioni d’inchiesta sulla sanità pubblica: due presidenti, due segretari, doppi consulenti e via raddoppiando. Se si vuole fare qualche cifra, dal bilancio del Senato risulta che la spesa per questo tipo di attività ammontava a circa un milione di euro per l’anno 2010, ma era già aumentata di 600mila euro nel 2012 (numeri che, peraltro, non tengono conto nemmeno di tutte le spese, in parte caricate su altre voci del complesso bilancio del Parlamento).
Al di là dei soldi, c’è poi una critica di merito che negli ultimi quindici anni ha spesso colpito questo tipo di organismo e vale anche per la costituenda commissione Moro: la possibilità che, in assenza di verità processuali definitive, sia la maggioranza di turno a ricostruire la verità storica come meglio le aggrada. Le vicende Mitrokhin e Telekom Serbia sono lì per ricordarlo a tutti.
Marco Palombi, Il Fatto Quotidiano 1/6/2014