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 2014  giugno 01 Domenica calendario

MISTERO COTTARELLI L’UOMO DEI TAGLI CHE NON SUSSURRA A RENZI


Il ministro Pier Carlo Padoan ci pensa un attimo, quel frammento di pausa che consente di non provocare una disfunzione diplomatica: “Mi permetto di rassicurare: Carlo Cottarelli è Alive and kicking, ci sentiamo più volte al giorno”. Alive and kicking. Vivo e vegeto. Che poi è anche una canzone dei Simple Minds. Ma trascinato nel quesito al Festival di Trento - che fine ha fatto Cottarelli? - forse Padoan ignorava il testo, e questa strofa: “What you gonna do when things go wrong?”. Cosa farai quando le cose andranno male? Oggi, già oggi, le cose per il signor spending review vanno male. E non perché ci sia scarsa sintonia con il prof. Padoan, che conosce dai rimpianti anni negli Stati Uniti, collega e compagno di gioco: sono appassionati di squash, narrano i cantori sportivi. C’entra il rapporto inesistente con Matteo Renzi: l’economista Cottarelli, apprezzato e quasi venerato al Fondo Monetario Internazionale, è un’invenzione di Enrico Letta. Che persino Renato Brunetta compativa: “È stato messo a fare un lavoro impossibile, nei suoi panni non mi sentirei bene”. Cottarelli non ha prodotto lavori impossibili: non ha prodotto nulla, o troppo poco. Il gruzzolo di miliardi, circa tre, che sostengono gli 80 euro in busta paga sono in gran parte i famigerati tagli lineari: 2,1 miliardi di acquisti eliminati per Stato, Regioni e Comuni; i residui 900 milioni sono un misto di autoblu e prelievi forzosi. Cottarelli ha davanti a sé un traguardo che richiede uno sforzo d’energia e di potere: entro il 2016, 32 miliardi di revisione di spesa, strutturali, cioè per sempre. Ora Cottarelli è un ciclista debilitato che deve scalare lo Zoncolan con una bicicletta senza un pedale. E il pedale che manca lo possiede Renzi. Qui conta la vicinanza fisica e l’empatia.
Il rigoroso Carlo e l’istintivo Matteo non s’incontrano da mesi, a palazzo Chigi non vengono segnalati avvistamenti di Carlo né improvvise telefonate per uno scambio di opinioni o una rapida consulenza. Nulla. Cottarelli e Renzi i contatti frequenti li hanno consumati di fretta (e non si ricordano brindisi di soddisfazione) durante le trattative per gli 80 euro. Il signor spending review non ha mai rivendicato successi. Quando era molto loquace con i giornalisti e concedeva doppie-triple interviste, confidava: “Questi 3 miliardi chiamateli coperture, non spending review”. Quando c’era Letta, Cottarelli s’aggirava indisturbato per il ministero di via XX Settembre, preparava studi, tabelle, previsioni . Era ancora ai preliminari. Poi è toccato a Renzi, e l’ex sindaco di Firenze non voleva mantenere un’enclave. A Cottarelli viene proposto un ufficio in centro. Non a palazzo Chigi, ma a Largo Chigi: all’inizio di via del Tritone, sopra la galleria artefatta e intitolata ad Alberto Sordi, in territorio neutrale, lontano ma non troppo: stretta sorveglianza, non percorsi privilegiati con il presidente del Consiglio.
Cottarelli non accetta, le stanze sono pronte, i commessi lo attendono. Ma il mitologico commissario che deve compilare la mitologica spending review non trasloca da via XX Settembre, proprio per non perdere l’unico appiglio che ancora lo regge in carica, Pier Carlo Padoan. Cottarelli ha un limite imposto da palazzo Chigi: deve fare il tecnico, e dunque deve reperire soluzioni, e non deve dimenticare le prerogative politiche (che spettano ai ministri e al governo). Ma se Cottarelli, che è un tipo ambizioso e preparato, s’avventura in ragionamenti politici non funziona: perché non è il super-ministro che, magari, s’immaginava Letta. Per mettere insieme decine di miliardi, che adesso sfiorano i 32 in totale, Cottarelli aveva chiesto un contributo (gratuito e volontario) a centinaia di amici economisti, che hanno inviato dettagliati documenti, acute analisi, incluse note a margine e conti incontestabili per scovare i miliardi, dai trasporti alla sanità: ora questi amici economisti compulsano Cottarelli perché vogliono sapere se il tempo è stato sprecato proprio per aiutare l’uomo che deve ridurre gli sprechi. Il signor spending review è vivo e vegeto, e che sia vivo e vegeto presto altrove, e non più al servizio di Renzi, è un’ipotesi che non va rottamata. E poi lo dicevano pure i Simple Minds: “What you gonna do when it all cracks up?”. Che cosa farai quando tutto crollerà? Ci siamo.

Carlo Tecce, Il Fatto Quotidiano 1/6/2014