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 2014  maggio 31 Sabato calendario

CHI NON INVESTE E CHI NON SENTE


L’economia non è una scienza esatta, forse sarà triste, di certo si nutre di paradossi. Carli e Ciampi mai avrebbero pensato che un giorno un loro successore alla guida della Banca d’Italia avrebbe temuto l’eccessiva discesa dei prezzi e la rivalutazione della moneta. Nel secolo scorso l’incubo quotidiano era l’inflazione che distruggeva risparmi e potere d’acquisto. Oggi il suo opposto, un fenomeno persino peggiore, sintomo di sfiducia. Non si consuma, non si investe. L’occupazione crolla. Dalla febbre all’ipotermia. La lira si deprezzava di continuo, impoverendoci. L’euro è troppo forte e danneggia le esportazioni.
Visco è un Governatore preparato e schivo. Non tende a sovrapporsi ad altri ruoli, non vuole esercitare alcuna supplenza. È conscio del cambiamento avvenuto con il trasferimento di alcuni poteri — fra un po’ anche parte della vigilanza bancaria — a Francoforte, ma rivendica con orgoglio la centralità e il prestigio della propria istituzione. Sbagliato pensare, come si faceva un tempo, che in Via Nazionale risieda un oracolo, dispensatore di moniti e richiami, per alcuni persino infallibile; giusto ritenere che vi sia ancora un centro d’eccellenza, la miglior fucina di una classe dirigente seria e preparata, assai apprezzata all’estero. Un’istituzione di garanzia e di indipendenza. Visco parlava ieri alla solita platea di persone che lo applaudono più per ritualità che per convinzione. Inutile però negare che l’attenzione di tutti sia rivolta alle decisioni che prenderà, fra qualche giorno, a Francoforte, il suo predecessore. Che cosa farà Draghi? Ridurrà ancora i tassi, ormai al lumicino? O varerà anche un programma ambizioso di acquisti di titoli pubblici e privati a sostegno della ripresa che stenta in Europa e ancora di più in Italia?
La relazione di Visco è stata asciutta e onesta, d’impronta sociale, solidaristica, diremmo keynesiana, più attenta al sostegno di redditi, consumi, investimenti e occupazione che al rigore dei conti e al pareggio di bilancio. Come se il Governatore volesse dire a tutti, e in particolare alle classi dirigenti europee, guardiamo più le facce angosciate dei cittadini, non la fredda verità dei numeri. Ascoltiamo le ragioni e valutiamo i sentimenti di famiglie e imprese e stacchiamo gli occhi, almeno per un attimo, dalle logiche aride dei grafici.
Non è una svolta da poco, soprattutto per un banchiere centrale: dovrebbe indurre molti (anche noi per essere sinceri) a riflettere sui troppi conformismi di un’analisi economica e politica che coltiva inossidabili filoni di pensiero salvo poi cambiare bruscamente rotta, incerta tra rigore e crescita, fra mercato e Stato. La ripresa, dopo sette anni di crisi che hanno ridotto di un decimo i redditi delle famiglie e di un quarto l’attività industriale, c’è. Ma è fragilissima. Le esportazioni sono tornate ai livelli del 2007; gli investimenti, tuttavia, sono crollati del 26 per cento e, in rapporto al Pil, sono al livello più basso del dopoguerra. I guadagni di produttività sono essenziali ma serviranno a poco se non si tradurranno in un aumento della domanda e soprattutto in un recupero dell’occupazione. Tra il 2007 e oggi si è perduto un milione di posti di lavoro.
La ripresa degli investimenti ha bisogno di un contesto di riforme credibili, non di promesse e annunci, di un generale clima di fiducia, rispetto delle regole e maggiore legalità. «Il credito complessivo all’economia italiana è in calo», ammette Visco, soprattutto per le piccole e medie imprese. Ma non aggiunge il Governatore che ciò non avviene in tutte le altre economie europee. Spagna compresa. Madrid, di fronte al disastro del proprio sistema bancario, chiese l’aiuto europeo e lo ottenne anche grazie ai nostri soldi. Oggi dà forte ossigeno alle proprie imprese, ci ha risorpassato nella riduzione degli spread (166 il nostro e 155 il loro) e la sua economia crescerà, a fine anno, a un ritmo triplo del nostro. Dovevamo fare anche noi la stessa cosa ai tempi del governo Monti? Forse sì. Le banche sono nuovamente strigliate. A ragione. Anche se quelle che non sono state gestite secondo criteri di altra natura (e la vigilanza non le ha fermate per tempo) hanno resistito alla crisi senza pesare sugli aiuti pubblici (nel caso del Monte Paschi lo Stato finirà per guadagnarci pure). Alla fine, però, ci hanno rimesso soprattutto le piccole e medie imprese, l’ossatura portante dell’economia italiana.
Anche gli imprenditori, nell’analisi di Visco, non sono privi di responsabilità. Accanto a tanti esempi positivi, straordinari, è mancato «un profondo rinnovamento del modo di produrre di fronte alla rivoluzione digitale». Molti sono prigionieri di strutture familiari che impediscono la crescita dimensionale. Sono sottocapitalizzati e anche per questa ragione hanno poco credito. La Banca d’Italia calcola che ci vorrebbero 200 miliardi di mezzi propri e una pari riduzione dei debiti per raggiungere condizioni patrimoniali a livello europeo.
Una condizione irrinunciabile per la ripresa degli investimenti, soprattutto dall’estero, riguarda la legalità e il rispetto delle regole. La corruzione, come la criminalità e l’evasione fiscale, dice il Governatore, uccide la crescita, mortifica i tanti operatori onesti distorcendo le dinamiche di mercato, indebolisce e rende inefficiente la pubblica amministrazione. Anche per quest’ultima ragione alcune riforme rimangono tristemente lettera morta (metà di quelle varate tra il 2011 e oggi è ancora priva di decreti attuativi). Il deficit di etica pubblica e privata non compare in nessuna statistica ufficiale, purtroppo.
In attesa di conoscere che cosa deciderà la Banca centrale europea, al cui sistema quella italiana partecipa svolgendo compiti assai delicati (l’area unica dei pagamenti Sepa, per esempio, è di competenza di Via Nazionale e della Bundesbank), coltiviamo per un attimo l’illusione che le parole di Visco non cadano come tradizione nel vuoto. E che non scivolino come pulviscolo sulle grisaglie del suo pubblico abituale di plaudenti, molti dei quali fermamente convinti che i destinatari dei suoi messaggi siano solo i vicini di sedia, dei quali peraltro si affrettano a professarsi pubblicamente in rapporti di stretta amicizia. Non si cresce anche per la troppa ipocrisia.